Di statue e altre imbarazzanti onorificenze

Storie e Notizie N. 1878

Così facciamo. E così abbiam fatto, nel mondo che ci ha preceduto. A cominciare, o meglio finire, da un secondo fa.
In tempi sospetti, più che il contrario, innalziamo e inauguriamo statue e busti, monumenti di ogni tipologia e forma, grandezza e presunto valore artistico, tra obelischi, mausolei e sculture tra le più classiche o maggiormente ardite, per non parlar di semplici targhe, medaglie e vie dedicate.
Poi, con il passar del tempo, capita che i fatti raccontati – spesso urlati - dalla narrazione quotidiana contraddicano nel più clamoroso dei modi la versione accreditata alla Storia con l’iniziale maiuscola e soprattutto vittoriosa.
Di conseguenza, come a cercar di rimediare all’inopportuna celebrazione dell’infame, più che l’infamia, è anche così che usiamo fare.
Perché così abbiam fatto, nelle vicende di cui tutti siam figli. A partire, o per meglio dire concludere,


dall’istante appena trascorso. Mi riferisco al momento in cui ci raduniamo attorno a statue e busti, monumenti di ogni tipologia e forma, grandezza e presunto valore artistico, tra obelischi, mausolei e sculture tra le più classiche o maggiormente ardite, per non parlar di semplici targhe, medaglie e vie dedicate, per ragioni diametralmente opposte.

Considera, quale preciso esempio, l’attuale abbattimento o danneggiamento dei simboli dello schiavismo, e altre forme di abusi e genocidi legalizzati, nell’ormai ex terra delle opportunità e anche nel Regno cosiddetto Unito, malgrado a oggi non lo sia neppure con se stesso.
Trattasi di impresa complessa, a essere concreti,

quella di metter mano – più o meno vendicativa - sulla quantità esorbitante di tali imbarazzanti testimonianze materiali delle zone d’ombra del passato.
Ciò malgrado, concentrandomi sul nostro, di paese, sono effettivamente identificate come tali? Zone d’ombra, intendo.
Mentre alle corti rispettivamente della regina Elisabetta II e Trump I gli si dà di mazzetta e piccone, da noi altri, che notoriamente siam quanto mai celeri nell’incensare i trionfanti del momento, perfino prima che taglino l’ambito traguardo, si discute dell’opportunità di rimuovere la statua a Milano del reo confesso di madamato con una minorenne – ovvero una tollerata forma di pedofilia ante litteram – il noto Indro Montanelli.
Be’, visto che date le premesse ci aspetta un estenuante conciliabolo tipo quelli tra gli Ent di Tolkien, nel frattempo mi permetto di stilare un elenco di discutibili onorificenze, limitandomi per esempio e personale interesse ai protagonisti dell’italico colonialismo in Africa.
Come non citare tra gli altri la targa in via Nazionale, a Roma, in ricordo del patriota e insigne statista Agostino Depretis; la statua di un altro patriota, ovvero Francesco Crispi, eretta nella piazza omonima a Palermo; la statua dell’armatore Raffaele Rubattino in Piazza Caricamento a Genova; i monumenti in memoria di re Umberto I, sia a Desio, in piazza Martiri di Fossoli, che a Roma, lungo il viale della Pineta, all’interno di Villa Borghese; i busti dedicati rispettivamente al generale Antonio Baldissera in viale dell’Orologio e al maggiore Pietro Toselli in via Lepanto, sempre nella capitale.
Mi domando, poi, come sfugga ai più nella diatriba intorno allo sposo di ragazzine – ma è stato un graaande giornalista, vuoi mettere? - il monumento anch’esso in quel di Milano di Ernesto Teodoro Moneta, unico Nobel per la pace nostrano, malgrado favorevole alla famigerata impresa Libica; le cui terribili conseguenze sono evidenti ancora oggi…
Oppure la casa museo del poeta Giovanni Pascoli, anch’egli convinto interventista della suddetta azione scellerata. Perché le guerre d’aggressione sono tutte, senza esclusione, degli imperdonabili crimini, punto. Questo non si discute, altrimenti fermatevi qui, che è meglio.
Ma perché non far menzione della quantità esorbitante di strade e piazze intitolate a personaggi passati alla storia anche per i propri trascorsi coloniali? Come la piazza intitolata all’agente governativo travestito da missionario Giuseppe Sapeto nel quartiere Garbatella nella capitale; per poi passare per via Alessandro Asinari di San Marzano, via Giuseppe Arimondi e via Giuseppe Galliano, già che ci siamo.
Potrei andare avanti, ma finirei per battere ogni record di lunghezza per un singolo post…
A mio modesto parere la questione più urgente non è se sia il caso o meno di allontanare dagli occhi testimonianze scomode della nostra spasmodica dedizione nell’omaggiare individui semplicemente famosi e potenti, più che degni di lustro.
Il punto che mi preme si manifesta sotto forma di una domanda: oggi, rispetto al giorno in cui abbiamo indebitamente onorato il personaggio di turno dalla sozza fedina morale, siamo una società differente?
In parole povere, siamo in grado in questo momento di distinguere un individuo ammirevole da un seppur popolare mascalzone?


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