La metà vuota del banco

Storie e Notizie N. 1886

C’era una volta il banco. Sì, come quello di scuola, a rotelle o meno, vecchio e anche nuovo, basta che tu riesca a immaginare la classe che lo ospita, l’intera scuola e tutto quel che di sicuro ricordi. Perché ci sei stato, hai lì vissuto parte della tua vita, o perché magari il frutto del reciproco amore – o mera passione del momento – si trova a sua volta a vivere questa particolare, delicata e fondamentale tappa nel personale viaggio. Lo vedi il banco? Riesci a sfiorarlo con le dita della tua fantasia, auspicabilmente sopravvissuta ai succhia sogni e brucia orizzonti digitali chiamati social network?

Ebbene, presumo converrai facilmente con me che, alla stregua delle seggiole e la cattedra, le lavagne di un tempo e i loro ingessati cancellini, ovvero una fredda LIM e la sempre attuale cattedra, è solo un oggetto d’arredo, parte della scenografia di uno spettacolo speciale, dove i coraggiosi protagonisti, chiamati alunni e professori minimizzandone alquanto il valore, sono il senso del tutto. A essere onesto, costoro sono il tutto. Perché coraggiosi? Be’, perché al giorno d’oggi ci vuole davvero un cuore impavido a fare entrambe le cose: spalancare occhi e orecchie per affidarsi agli insegnamenti di un esemplare adulto – con tutto ciò che abbiamo combinato negli ultimi decenni – e per giunta estraneo. Nondimeno, allo stesso tempo, meritano altrettanta ammirazione le donne e gli uomini che ogni giorno sono lì, davanti al proprio letterale futuro, a cercare di rimediare agli errori della propria generazione e quella precedente aiutando a crescere quella che seguirà e, si spera, rimetterà a posto le cose. Ecco, adesso lo vedi meglio, il banco? Non, un banco qualsiasi, ma il banco. Quello che attende, o dovrebbe farlo, ogni studente del pianeta. Stai guardando anche tu ciò che ho davanti agli occhi, ovvero le due differenti metà che lo compongono? In una, la nostra, la cosiddetta parte piena, si legge che la scuola adesso fa paura e scatta la psicosi da contagio. Si racconta di un primo giorno a ostacoli, dai bimbi in ginocchio senza sedie a quelli a lezione in chiesa. Si parla di ragazzi che bocciano i banchi a rotelle, poiché è impossibile scrivere o disegnare. Si mostrano genitori che protestano di fronte alla scuola, perché lì ci va il figlio del premier. Si cita la pochezza di 23mila prof di ruolo assunti e, al contempo, si segnala la mancanza di 150mila docenti e 20mila ausiliari. Si contano, ahi loro, quasi cento positivi al Covid-19. E, come se tutto ciò non bastasse, ecco che si annuncia l’ennesimo sciopero del personale della scuola per ben due giorni. Ovvero, con il risultato – a prescindere dalla fondatezza delle ragioni – di rendere vacante la porzione del banco solitamente occupata dai nostri figli e nipoti. Ora, fai uno sforzo assieme a me e sposta lo sguardo, il cuore, la coscienza, o anche solo la ragione, sull’altro lato del banco che porta il sottovalutato nome di mondo. La vedi la parte vuota di fronte alla seggiola inoccupata dal compagno perennemente assente all’appello? In essa circa 872 milioni di bambini di ben 51 Paesi, la metà della popolazione studentesca dell’intero nostro pianeta, non sono ritornati per niente a scuola, a causa della stessa nostra epidemia. Ma l’aspetto più tragico, una sorta di ulteriore metà della metà già funestata di suo, 463 milioni di bambini tra quegli sfortunati alla nascita nei mesi precedenti non hanno potuto neanche approfittare delle tanto odiate lezioni a distanza. Perché per loro il computer è un dono fatato dei paradisi oltre oceano, figuriamoci la magia chiamata internet. Lo ripeto a scanso di equivoci, la scuola è tutto, per noi e per gli altri, che sopravvivono oltre i margini della nostra più o meno esigua percezione delle cose. Occorre che ciascuno di noi si impegni in prima persona, a qualsiasi latitudine, a rendere il luogo primario dell’apprendimento ogni giorno migliore di quello precedente. Al contempo, però, sforziamoci di non dimenticare mai il più importante degli insegnamenti: ci sono miliardi di vite al di là delle finestre della stessa classe, del salotto, della cucina o della camera da letto, di quelle dell’ufficio dove lavoriamo, oltre il parabrezza e i finestrini delle auto, dei finestrini dei bus e dei treni, o addirittura del monitor del cellulare e dello schermo del pc, da cui possiamo imparare in ogni istante la differenza tra lamentarsi di una cosa e non averla affatto


Iscriviti per ricevere la Newsletter per Email

É uscito il mio nuovo libro: A morte i razzisti