Mai più
Storie e Notizie N. 1926
C’erano una volta i mai più. E, ahi loro, ce ne sono ancora, assai più di ciò che si creda.
Popolazioni di nativi anch’esse, a loro modo. E come ogni famiglia di famiglie indigena ciascuna ha un suono nome, all'interno del quale, alle spalle e più che mai all’orizzonte, vi è tutta la storia che occorre conoscere. Per capire e, soprattutto, far qualcosa di meglio all’indomani.
Tra le più note vi è mai più guerra, scoperta, evocata e più che mai declamata verso la metà del secolo scorso e in poco tempo sterminata come le altre. Ma tu leggi pure sconfessata, umiliata, svilita.
Altrettanto popolare è mai più schiavismo, risalente a quasi due secoli addietro, ma qui il misfatto è ben peggiore. Perché non solo è stata massacrata come la precedente. Ovvero, delusa, abiurata e ingiuriata. Ma addirittura manipolata, ribattezzata con altri nomi e ulteriori, perverse modalità con cui asservire il prossimo.
Al contempo, vi sono altri popoli chiamati mai più il cui nome se lo son dati da soli. Come quello a cui apparteneva e ancora oggi appartiene Jack Krueger, uno dei 150mila bambini indigeni che in Canada, dal diciannovesimo secolo sino addirittura agli anni novanta, furono strappati alle famiglie con la forza e costretti a frequentare le scuole residenziali degli invasori.
Già, gli invasori, è un’invasione, ci stanno invadendo, le parole sono importanti quanto le bugie. Infinitamente di più qualora rivelino queste ultime per ciò che sono in realtà.
Mai più altri bambini dovranno subire qualcosa del genere, ha esclamato con dolore e speranza Jack.
Mai più, come ha fatto incidere sulla targa delle statue che qualche anno fa sono state inaugurate a monito dei presenti e dei posteri.
Ora, oggi, il primo di luglio, in questa grottesca coincidenza che porta una nazione, giammai la prima, bensì le prepotenti e usurpanti versioni successive, a celebrare la propria nazionale festività, ci si strappa le metaforiche vesti per le disumane violenze subite dagli abitanti originari. Sarà perché sono i fantasmi delle vittime a parlare, levando le loro autorevoli voci dalle fosse criminali, più che comuni.
Nondimeno, basterebbe fare un passo indietro, anche due, all’interno della propria coscienza di europei e occidentali, come se questi termini potessero davvero significare qualcosa di importante, e riascoltare il più menzognero dei lamenti del terzo millennio nella forma onesta: vengono qui da lontano per occupare le nostre terre e distruggere la nostra storia, la nostra cultura, la nostra memoria; vogliono cancellarci e assimilarci inducendoci a vergognarci delle nostre identità; sono qui per stuprare le nostre donne e violentare la nostra vita; portano con loro strumenti di morte e malattie letali, le quali faranno il lavoro sporco per loro; e quando tutto sarà finito e dimenticato, ci faranno sentire intrusi sulla terra che ci ha messo al mondo.
Ecco la piaga peggiore del più numeroso popolo auto soprannominatosi mai più, la famiglia dei presunti umani, più che uomini. Quello che si ritroverà a sperare di non dover mai più pronunciare la fatidica promessa a se stesso e agli ignari posteri.
Mai più, già.
Forse dovremmo attardarci a riflettere su ciascuna di queste sorelle e fratelli, figli e madri, semplici simili o auspicabilmente tali il cui genocidio fa ancora rumore e fermare una volta per tutte la nostra mano, esatto, la nostra, che in questo preciso momento si sta macchiando degli stessi delitti di un tempo.
Per non dover gridare o ascoltare ancora una volta.
Mai più...
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Il mio ultimo libro: A morte i razzisti