Il processo sull’assassinio di Thomas Sankara: l’arringa della vittima

Storie e Notizie N. 1945

Ieri, 34 anni dopo l’omicidio di Thomas Sankara, ha finalmente avuto inizio nel Burkina Faso il processo, il quale vede alla sbarra un ex presidente e altri 13 imputati.

In sua inevitabile assenza in occasione di tale quanto mai tardivo atto dovuto, immagino di vedere il soprannominato Che Guevara d’Africa prendere la parola e ripetere lo storico discorso* che fece alle Nazioni Unite il 4 ottobre del 1984, solo tre anni prima di essere assassinato.

Eccone uno stralcio, le cui parole si dimostrano a mio parere assai attuali ancora oggi:

Presidente, Segretario generale, onorevoli rappresentanti della comunità internazionale.

Vi porto i saluti fraterni di un paese [...] in cui sette milioni di bambini, donne e uomini si rifiutano di morire di ignoranza, di fame e di sete, non riuscendo più a vivere.

Noi vogliamo inserirci nel mondo senza giustificare comunque questo inganno della storia, né accettiamo lo status di “entroterra del sazio Occidente”.

Finora abbiamo offerto l’altra guancia, gli schiaffi sono stati raddoppiati. Ma il cuore del cattivo non si è ammorbidito. Hanno calpestato le verità del giusto. [...] Ebbene, i nostri occhi si sono aperti alla lotta di classe, non riceveremo più schiaffi.

Non c’è salvezza per il nostro popolo se non voltiamo completamente le spalle a tutti i modelli che ciarlatani di tutti i tipi hanno cercato di venderci per vent’anni. Non ci sarà salvezza per noi al di fuori da questo rifiuto, né sviluppo fuori da una tale rottura.

Prima di me, altri hanno spiegato, e senza dubbio altri spiegheranno ancora, quanto è cresciuto l’abisso fra i popoli ricchi e quelli la cui prima aspirazione è saziare la propria fame e calmare la propria sete, e sopravvivere seguendo e conservando la propria dignità. Ma è al di là di ogni immaginazione la quantità di “derrate dei poveri che sono andate a nutrire il bestiame dei nostri ricchi!

Parlo in nome dei milioni di esseri umani che vivono nei ghetti perché hanno la pelle nera o perché sono di culture diverse, considerati poco più che animali. Soffro in nome degli Indiani d’America che sono stati massacrati, schiacciati, umiliati e confinati per secoli in riserve così che non potessero aspirare ad alcun diritto e la loro cultura non potesse arricchirsi con una benefica unione con le altre, inclusa quella dell’invasore. Parlo in nome di quanti hanno perso il lavoro, in un sistema che è strutturalmente ingiusto e congiunturalmente in crisi, ridotti a percepire della vita solo il riflesso di quella dei più abbienti. Parlo in nome delle donne del mondo intero, che soffrono sotto un sistema maschilista che le sfrutta. […] Le donne in lotta proclamano all’unisono con noi che lo schiavo che non organizza la propria ribellione non merita compassione per la sua sorte. Parlo in nome delle madri dei nostri paesi impoveriti che vedono i loro bambini morire di malaria o di diarrea e che ignorano che esistono per salvarli dei mezzi semplici che la scienza delle multinazionali non offre loro, preferendo piuttosto investire nei laboratori cosmetici, nella chirurgia estetica a beneficio dei capricci di pochi uomini e donne il cui fascino è minacciato dagli eccessi di calorie nei pasti, così abbondanti e regolari da dare le vertigini a noi del Sahel.

Parlo, anche, in nome dei bambini. Di quel figlio di poveri che ha fame e guarda furtivo l’abbondanza accumulata in una bottega dei ricchi. Il negozio è protetto da una finestra di spesso vetro; la finestra è protetta da inferriate; queste sono custodite da una guardia con elmetto, guanti e manganello, messa là dal padre di un altro bambino che può, lui, venire a servirsi, o piuttosto, essere servito, giusto perché ha credenziali garantite dalle regole del sistema capitalistico. Parlo in nome degli artisti - poeti, pittori, scultori, musicisti, attori - che vedono la propria arte prostituita per le alchimie dei businessman dello spettacolo. Grido in nome dei giornalisti ridotti sia al silenzio che alla menzogna per sfuggire alla dura legge della disoccupazione. Protesto in nome degli atleti di tutto il mondo i cui muscoli sono sfruttati dai sistemi politici o dai moderni mercanti di schiavi.

La ricerca della pace va di pari passo con la realizzazione dei diritti dei paesi all’indipendenza, dei popoli alla libertà e delle nazioni all’autodeterminazione.

Mettiamo fine all’arroganza delle grandi potenze che non perdono occasione per rimettere in questione i diritti degli altri popoli. L’assenza dell’Africa dal club di quelli che hanno il diritto di veto è ingiusta e deve finire.

Sono venuto qui per chiedere a ciascuno di voi di unirvi in uno sforzo comune perché abbia fine l’arroganza di chi ha torto, svanisca il triste spettacolo dei bambini che muoiono di fame, sia spazzata via l’ignoranza, vinca la legittima rivolta dei popoli, e tacciano finalmente i suoni di guerra, e che infine si lotti con una volontà comune per la sopravvivenza dell’umanità.

*Traduzione di Marinella Correggia

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Il mio libro più recente: A morte i razzisti