Due navi un destino o nessuno

Storie e Notizie N. 1951

Mentre in Sicilia l’insolito maltempo sta facendo danni ingenti, una nave di Medici Senza Frontiere con a bordo 367 persone migranti è in serio pericolo e chiede di poter approdare.

C’erano una volta due navi e un solo mare.

Due popoli, in apparenza e il pianeta che ci resta.

Due equipaggi e un unico destino, in viaggio l’uno verso l’altro.

Due equipaggi di quantità differente, nell’istante del racconto. Del pericolo o del caso, che decide chi continuerà a vivere, forse, e chi sopravviverà, magari.

Magari, già, magari fosse tutto così semplice e risolvibile con una fiaba, non credi? Perché al di sotto della luce della realtà dei fatti, nel lungo tragitto di chilometri e anni, il numero di passeggeri si inverte. E qualora capiti, lo vedi, il mondo in viaggio verso se stesso.

In un incontro, uno scontro, o entrambi, il che vuol dire fine. Mentre uno solo tra i due avrà la possibilità di tradursi in futuro in tutte le lingue del cuore.

La prima nave la conosci. È fatta di terra maltrattata e memorie sbiadite, di venefico cemento che avrebbe bisogno anch’esso di un vaccino

globale e tanto, troppo, grigio. Che sulla carta è l’unione, l’incontro, lo scontro - dipende da come finirà per davvero la storia - tra il nero e il bianco, mentre nel nostro caso è solo una sbavatura del pennello che rovina un disegno già perfetto in origine, il primo giorno che l’hai visto, tu, io e tutti gli altri. Sebbene da maschere candide o brune camuffati.

La seconda nave, seppur di riconoscibile legno, non la conosci affatto, malgrado quel che si

farnetichi, più che si dica. In pochi, oltre gli stessi passeggeri, sanno cosa vogliano dire termini come nave di soccorso, o anche zattera, imbarcazione di fortuna, barcone o barchetta. Al meglio riusciamo a intendere la parola traghetto. O, nel caso, Yacht o nave da crociera, a prescindere dal numero di nodi o dal prestigio del posto a bordo.

Guardale ora, ti prego. Osserva le due navi muovere l’una verso l’altra, perché questo è ciò che sta accadendo in questo preciso momento, mentre io scrivo e tu forse leggerai, lo spero.

A prescindere da dove siano partite, poiché non è più importante adesso, lo capisci? E non conta neppure se hai l’impressione che la tua sia ferma, ancorata e sicura, a differenza dell’altra.

Siamo tutti in viaggio, oramai, e non possiamo far nulla per tornare indietro. Possiamo andare solo avanti, se vogliamo sopravvivere. E all’orizzonte non è affatto detto che ci sia una riva, come quella che abbiamo stoltamente negato alle nostre sorelle e i nostri fratelli di terra e di mare.

Per favore, avvicinati per un momento alla prua del vascello a forma di stivale che ti hanno detto si chiami penisola, indubbiamente vero a scuola, approssimato facendo scivolare vita reale tra le pagine del sussidiario.

La vedi, ora, dalle sponde dell’isola che i greci

chiamavano Trinacria, l’altra nave che rischia la vita che contiene?

Tu, io, noi tutti e le genti dell’equipaggio in cui ci stiamo specchiando siamo funestati dal medesimo vento impazzito, dalla stessa feroce pioggia che abbiamo fatto di

tutto per incollerire, travolti da identiche onde assassine, uguali nella forma e il gelido distacco, le nostre di fango, le loro di acqua e sale.

Normale, ricordi? Una nave di terra e l’altra di legno. Entrambe, disperatamente, solcando vita verso un domani che sia tale, perlomeno. Auspicabilmente migliore, ricoperto da una materna, benevola e tranquillizzante volta celeste.

Tutte e due, nel millennio di cui siamo tutti umili ospiti, hanno un terribile quanto letale leviatano da affrontare. Quello che solo gli umani sanno mettere al mondo.

Per tale ragione codesta breve storiella, la quale spero smuova ben più dentro di te, si conclude esattamente com’è iniziata.

Perché è solo così che andrà, credimi sulla parola scritta: c’erano una volta e ci sono anche ora, in questo secondo spaccato, due navi su un unico mare.

Due popolazioni, a una prima superficiale occhiata, e sullo sfondo tutto il mondo che rimane.

In altre parole, altrettanti equipaggi con un solo destino, in cammino l’uno nella direzione dell’altro.

Sino a un incontro o uno scontro. Una chance di sopravvivenza per ciascuno di noi, ovvero la fine di tutto.

Se solo avessimo ancora intatte le stropicciate ali della fantasia che abbiamo avuto in dono tutti, alla nascita, per librarci in alto e capire che, alla stregua del mare e del pianeta, la nave è sempre stata una e solo una.

Così come l’equipaggio...

Iscriviti per ricevere la Newsletter per Email

Il mio ultimo libro: A morte i razzisti