Le vittime della guerra e le armi della pace

Storie e Notizie N. 1998

C’era una volta una storia semplice che è come una fiaba d’altri tempi, la quale probabilmente risale all’inizio di questi ultimi.
Anche un bambino la capirebbe.
Anzi, forse ne coglierebbe il senso meglio di tutti gli altri, più vecchi e maggiormente saggi, più adulti e orgogliosi della propria superiore istruzione.
Eppure ciascuno di noi, sin dal giorno in cui il primo degli umani ha visto la luce del mondo, l’ha ascoltata, osservata e vissuta con le stesse parole, le identiche note e le medesime immagini. O disegni, che in una fiaba non guastano mai, tutt’altro.
La trama è a dir poco elementare: prima c’è la pace, poi arriva la guerra e alla fine – si spera - per il sollievo dei lettori di ogni età, luogo e tempo, si ritorna all’inizio. Di nuovo pace, evviva, perché è ciò che tutti ci auguriamo, chi legge e chi scrive, e perfino chi  aggredisce e chi si difende e contrattacca, anche se nell’idiozia, più che la furia, del combattimento a volte ce ne dimentichiamo.
Ma allora, se questa storia è così antica, perché in ogni epoca che si succede dimostriamo di non averne ancora intesa la morale?
Perché abbiamo così tanto bisogno di ascoltarla, osservarla e viverla di nuovo?
Ancora e ancora, e nuovamente ancora?
Non ho la risposta esatta. Se l’avessi, farei di tutto, perfino mettendo a rischio la mia vita per coloro che ho a cuore a questo mondo, affinché divenga di dominio universale, ancora prima che pubblico. E se avessi superpoteri o conoscessi l’arte della magia, come gli eroi del cinema di oggi, a scanso di equivoci la inciderei a caratteri colossali sulla volta celeste con inchiostro di stelle, affinché ogni notte, prima di addormentarsi, l’intero genere umano gli buttasse un occhio per non dimenticarla il giorno seguente.
Nondimeno, con tutta l’umiltà del mondo, i capelli grigi mi spingono a prendermi la responsabilità di offrire qualche suggerimento.
Magari mi sbaglio, è sicuro che sia così, o e assai probabile che non sia il primo a darlo, ma col tempo mi sono convinto che della guerra e la pace non abbiamo capito sino in fondo due cose fondamentali: quante sono effettivamente le vittime della prima e quali sono le armi per vincere la seconda.
Le armi, già, perché la pace si deve combattere e vincere proprio come si dice spesso per la guerra, la quale invece, alla prova dei fatti, non la vince mai nessuno per davvero e siamo tutti a perdere.
Le vittime della guerra, di tutte le guerre, sono banalmente coloro che perdono la vita e di conseguenza i familiari, privati a loro volta in modo così violento e ottuso dei propri cari; sono altresì le persone che si ritrovano senza una casa, la scuola, un lavoro, un intero mondo riconoscibile e con macerie e distruzione ovunque al posto di quest’ultimo; sono i popoli che a causa di tali abomini unicamente umani sono obbligati ad allontanarsi il più possibile dal Paese in cui sono nati e cresciuti, che in poco tempo si trasforma in un vero inferno in terra.
Tuttavia, l’errore che molti di noi compiono di generazione in generazione è credere che l’elenco si fermi qui.
Provate allora a considerare la particolare contingenza che come italiani ci vede di nuovo relativamente vicini al rumore delle bombe che uccidono orizzonti e cancellano presente e futuro dalle mappe viventi. Concentratevi quindi su ogni bambino che vive su questa nostra penisola, da nord a sud e riflettete per un istante sul loro stato d’animo dopo due anni di pandemia in cui hanno avuto la sfortuna di affrontare un evento talmente sconvolgente a livello mondiale in un periodo così fragile della loro esistenza. E proprio quando finalmente cominciavano a intravedere uno spiraglio, forse stavolta definitivo, alla fine del tunnel oscurato e reso asfissiante dalle nostre deliranti zuffe tra vaccini, tamponi e Green Pass, Vax contro No Vax, si ritrovano a sentir parlare di guerra alle porte, nonché addirittura di rischio di conflitto mondiale e nucleare.
Semmai sentite di aver ulteriore spazio nella vostra fantasia, o ancora meglio nel cuore, togliete pure i confini a quest’ultimo e moltiplicate tale incubo per i bambini di tutto il mondo, che vivono la guerra in prima persona, o ne ascoltano e osservano la storia da più o meno lontano.
Miliardi di vittime innocenti nella maniera più letterale possibile, quindi, mentre nessuno degli altri, ahi noi, dovrebbe sentirsi sufficientemente giovane da non avere colpe. Perché quando arriva il giorno in cui il fuoco piove dal cielo e le sirene dei rifugi intonano il loro spaventoso canto vuol dire che abbiamo sbagliato tutti tranne loro.
Significa che non abbiamo combattuto e vinto per davvero la pace, l’unica battaglia che sia degna di essere vissuta e che richiede una costanza la quale non prevede armistizio alcuno.
Forse non ne abbiamo avuto il coraggio sino in fondo, perché per scendere in campo ogni giorno con l’intenzione di costruire reale armonia tra noi ce ne vuole tanto. O, forse, perché nessuno ci ha insegnato da piccoli quali siano le armi per affrontarla.
Si chiamano accoglienza e solidarietà.
Si chiamano incontro con l’altro, soprattutto qualora si tratti di qualcuno infinitamente diverso e lontano da noi.
Si chiamano, più di ogni altra cosa, ascolto attento, osservazione silenziosa e vita condivisa delle storie della guerra e della pace del passato e del presente.
Ma con gli occhi, le orecchie e tutta l’immaginazione sopravvissuta al bambino che siamo stati.
Forse in questo momento potrebbe risultare utile chiedere aiuto e consiglio ai nostri figli e nipoti...


Vieni ad ascoltarmi sabato 12 marzo 2022 alle 18.00, Libreria Ubik, Monterotondo (RM)

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