La mano di una donna

Storie e Notizie N. 2032

C’era una volta Ghufran Hamed Warasneh.
C’era una volta, questo è indubbio, perché ora non c’è più.
Difatti, c’era una volta una donna assassinata con uno sparo dritto al petto.
C’era una volta, perciò e per esteso, una giovane di soli trentun anni e una cronista appena assunta in una stazione radio, ma questo aggiunge poco a spiegare, capire, o perlomeno accettare.
C’era una volta, quindi, un’ex prigioniera in terra ostile e una cittadina palestinese, e allora sì che che si spiega, si capisce anche, ma non si dovrebbe affatto accettare alcunché di questa brutta storia.
Nondimeno, ecco che rigorosamente dall’alto – tali semplificate ricostruzioni arrivano sempre da lì – ci giunge il verbale ufficiale, nel senso di militare, dell’accaduto: la donna avanzava verso un soldato israeliano stringendo in mano un coltello.
Altrettanto secondo un copione già ascoltato, testimoni e conoscenti della defunta rifiutano tale versione e sostengono che la povera Ghufran non era di alcun pericolo per il suo aggressore e che stava solo andando al lavoro.
Sapete cosa mi suggerisce tutto ciò? Una successione di ulteriori scenari alternativi, la cui comune, probabile conclusione risulta a mio umile avviso ancor più emblematica della verità stessa.
In uno la donna ha in mano una penna, una penna che scrive e non teme di essere ignorata, cancellata o addirittura modificata a uso e consumo dell'occupante di turno.
In un altro ha uno specchio, con l’ingenua speranza che il milite a difesa dell’ennesimo crimine legalizzato riesca a vedere quanto sia lorda di sangue la sua divisa.
In un altro ancora ha una foto di sua madre, con l’ancora più infantile desiderio che si rammenti che non è stato messo al mondo per uccidere giovani donne a sangue freddo.
Armate di coltello o altro, più che meno.
In un altro ha un microfono, visto che lavorava in una radio, e un miliardo di domande, anche se le sarebbe bastata una sola risposta sincera alla più impellente tra tutte.
Perché?
Perché...?
Perché?!

In un altro, meno realistico lo ammetto, ha il proprio cuore pulsante, poiché vuole che l’uomo che sta per spegnerla si renda conto con i suoi occhi di cosa accadrà nel suo corpo quando la colpirà a morte.
In un altro, invece, ha deposto entrambi i suoi occhi, affinché sia lei a guardarlo ancora in seguito, allorché l’orribile delitto sia stato ormai compiuto.
In un altro il palmo della mano è effettivamente vuoto, ma soltanto a uno sguardo eccessivamente timoroso. Perché con un briciolo di ardimento in più si scorgono le linee della vita e della saggezza, dell’amore e del destino. E tra esse ne spicca una speciale, quella della giustizia e di chi non smetterà mai di reclamarla.
Tuttavia, lo scenario che maggiormente mi colpisce è quello in cui nella mano oramai condannata ce n’è un’altra, che a sua volta ne cela un’altra ancora, ma più piccola, e poi un’altra più piccola, e via così, sino a risultare invisibili. Ma ci sono eccome, perché sono in grado anche solo di sfiorare e afferrare ogni cosa, tutta la verità che resta. E non dimenticano nulla.
Ciò nonostante, non posso fare a meno di pensare all’aspetto più amaro di ciascuno di questi differenti universi, poiché sono sicuro che alla fine il soldato ucciderà comunque la donna.
Perché il problema non è cosa aveva in mano lei, ma lui, e tutti coloro i quali  se ne vanno nel mondo a sparare al prossimo come se fosse una normale, giustificata e ragionevole eventualità...

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