La vita a bordo del SUV

Storie e Notizie N. 2056

Allora, anche questa ennesima notizia provo a raccontarla con una storia.
Il sole è tramontato da un po’ e siamo a bordo di un SUV, okay? Uno di quelli grossi e ingombranti, al cui sedile osservi il mondo dall’alto, apparentemente al sicuro. E malgrado tutti gli editor di questo mondo consiglino di non abusare con gli avverbi, in tale specifico caso è quanto mai d’obbligo usarlo e sottolinearlo.
Al volante c’è Omero, già, come il celeberrimo poeta, ma non ci si illuda. Non v’è poesia in lui. Non più, oramai.
L’uomo, a metà strada tra i cinquanta e i sessanta, è traboccante in modo irrimediabile di cinismo da divano e pragmatismo da monitor.
Indi per cui, sfreccia sulla via tagliando in due il traffico e la città stessa, passando sopra tutto e tutti, tra automobilisti di rango inferiore e sacrificabili pedoni.
La sua fortuna di un tempo, ma forse c’è ancora qualche spiraglio all’orizzonte, è la creatura seduta alle spalle.
Luisa, sua figlia, ha sedici anni ed è vestita a festa. Per entrambe le ragioni è raggiante. Per la cronaca, è attesa a casa di un’amica per il compleanno di quest’ultima e – grazie a un intenso lavoro ai digitali fianchi tra storie, messaggini e commenti – ci sarà anche una persona che in questi giorni è in cima ai suoi pensieri.
Probabilmente passerà in fretta, e ne verranno altre, ma è questo il bello a quell’età: ogni giorno si può ricominciare tutto daccapo. Cosa che non si può dire per il babbo, ahi lui.
A un tratto, il silenzio tra i due viene interrotto da uno scoppio inequivocabile. L’auto sbanda per qualche metro, ma per fortuna in quel momento non ci sono altri mezzi nei pressi e Omero riesce ad accostare senza problemi.
“Porca miseria ladra!” esclama una volta tirato il freno a mano. “Mi sa che abbiamo bucato…”
 Entrambi scendono dall’auto e a quanto pare Omero ha ragione. Il pneumatico posteriore sul lato sinistro è squarciato. Così, sbuffando e continuando a imprecare, si tira su le maniche e apre il portabagagli. Indossa il gilet segnaletico e tira fuori il triangolo. Conta cinquanta passi all’indietro e lo sistema sul ciglio della strada. Quindi ritorna al veicolo e si accinge a tirar fuori la ruota di scorta per effettuare il cambio.
Nel mentre Luisa controlla sia l’orologio che il cellulare e avendo verificato le distanze esclama: “Papà, la festa non è lontana da qui, sono meno di due chilometri, vado a piedi.”
“Scherzi?” ribatte Omero, già madido di sudore, quando non ha ancora cominciato ad allentare i bulloni. “Ma l’hai visto dove siamo?”
E così ha inizio la solita estenuante discussione tra i due, quasi sempre sullo stesso argomento.
“Dove siamo, papà? Siamo nella nostra città.”
“Col cavolo, Luisa. Questa zona non è la nostra città. Qui siamo in Africa per me.”
“E ridagli con l’Africa. Sei sempre il solito…”
“Razzista? Guarda che non c’entra nulla che la tua amica è straniera, d’accordo? È questo quartiere che è una merda. Guardati in giro. Lo vedi che schifezza? Anzi, la senti? La senti che puzza?”
“Jamila è italiana, quante volte te lo dovrò ripetere? E poi non ha mica deciso lei di vivere qui. E non tutti possono scegliere come noi altri. Cioè, come te, papà.”
Omero, esasperato anche perché per accompagnare la figlia rischia di perdersi l’inizio della partita di Champions, lascia andare in terra la chiave e i primi bulloni che ha tolto e si alza in piedi.
“Luisa, c’è sempre una scelta davanti!” esclama alzando decisamente la voce. “Si può scegliere sempre, in ogni momento. Tutti scelgono e poi c’è chi dà la colpa agli altri perché è più comodo. I genitori della tua amica hanno scelto di lasciare il proprio paese, io ho scelto di chiedere a tua madre di sposarmi, lei ha deciso di metterti al mondo, e tu hai scelto…”
“Ma che cazzo dici, papà?”
“Non ti permettere di parlarmi così…”
“D’accordo, scusa, ma poco fa, mentre tu eri intento ad ascoltare la radio per scoprire con quale formazione giocherà la tua squadra stasera, io leggevo un articolo. Una cosa che dovresti sapere anche tu.”
“See… e che sarà mai? La solita roba buonista che vi rimbambisce il cervello a te e tua madre.”
Quindi deterge la fronte dal sudore con l’avambraccio e riprende a cambiare la gomma, dato che non vede l’ora di allontanarsi da quel fetido quartiere, perlomeno secondo i suoi gusti.
In molte occasioni, a quel desolante punto, la ragazzina si è arresa, per poi rinchiudersi in un ferito silenzio. Sarà l’aria pungente della sera, sarà perché oggi deve andare tutto bene, o forse è soltanto frutto di un’energia sana e dirompente che prima o poi si farà sentire del tutto, Luisa trova l’articolo in questione sul suo smartphone, si schiarisce la gola e lo legge ad alta voce: “Secondo un studio americano, le aree più povere subiscono il peso maggiore dell'inquinamento atmosferico. Le minoranze etniche in particolare sono costrette a subire più di tutti l’aria tossica. Il dramma, caro papà, che è la cosa più vergognosa di questa storia, la tua, la mia e quella di Jamila e la sua famiglia, di tutti noi, sai qual è? Che sempre secondo questo studio le persone che abitano nelle zone più povere e abbandonate, come quella in cui siamo ora, sono quelle che hanno contribuito di meno ai problemi che stanno affrontando. Perché da queste parti non ce l’hanno mica un carrarmato come quello che stai cercando di rimettere in corsa, papà. Non ce l’hanno mica le caldaie e i condizionatori che abbiamo noi. Non insozzano l’aria come facciamo noi. A loro gli arriva solo la merda, come hai detto prima.”
Luisa prende fiato ed è spossata come se avesse appena concluso la maratona. Sta tremando, è accaldata malgrado non faccia più caldo come nelle ore precedenti, ma è contenta di essere arrivata alla fine senza balbettare e interrompersi.
Dal canto suo, Omero si è fermato per ascoltarla. Quindi ruota il capo e osserva gli occhi della figlia. La guarda con interesse e forse anche ammirazione, sebbene non condivida ciò che ha detto. Probabilmente per la ragazza e tutti gli altri con siffatti genitori l’esito della discussione non cambierà mai. Ma oggi non ho perso, si dice Luisa riponendo il cellulare nella borsetta. E questo è solo l’inizio.
Quindi, sebbene abbia impiegato ore per scegliere gli abiti che indossa, si accovaccia accanto a Omero per aiutarlo.
“Coraggio, papà, cambiamo ‘sta gomma. Così io vado alla festa e tu ti vedi la partita, che ne dici?”

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