C’è stato un tempo in cui internet eravamo noi

Storie e Notizie N. 2086

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Osservando ciò che sta accadendo su Twitter in versione Elon Musk, ricordo che era l’inizio degli anni Novanta quando all’università Sapienza di Roma – mi sono laureato in Scienze dell’informazione, ovvero informatica – uno di noi fece a un professore di quelli più affabili e inclini a metter via il programma per affrontare questioni inaspettate la seguente domanda: “Cos’è davvero internet?
Internet siamo noi”, rispose il docente, come se fosse la cosa più semplice del mondo. E lo è, se ci pensate. L’idea è elementare, facilmente comprensibile anche da un bambino: una rete i cui segmenti uniscono tra loro dei puntini, i quali a loro volta corrispondono ai partecipanti di questo incontro globale. In una parola, noi.
Rimasi subito folgorato da quest’invenzione come molti all’epoca. Una vera rivoluzione quella di rendere accessibile sempre più ovunque uno strumento attraverso il quale poter entrare in contatto con estrema rapidità con chiunque nel mondo desideri altrettanto. Il tutto – questo e solo questo è il nucleo fondante dell’aspetto rivoluzionario della cosa – in modo perfettamente orizzontale, togliendo di mezzo il medium o mass media di turno.
Io mi connetto con te che ti connetti con lei che a sua volta si connette con loro a prescindere da dove ci troviamo nel mondo e in tempo reale.
Le potenzialità di tale innovazione furono quasi subito evidenti. Prima tra tutte, la straordinaria possibilità di condivisione dei saperi e di ogni tipo di informazione tra i partecipanti, termine che ho sempre preferito a utenti.
Utenti, ovvero meri utilizzatori, mi fa pensare a ciò che eravamo prima. Come nella sigla della famiglia Simpson, condannati a finire ogni sera con l'abbeverarci alla fonte primaria nazional popolare della televisione. Il didietro sul divano e in mano il telecomando, con l’illusione del controllo, mentre come spiega in modo brillante il protagonista del film Quinto potere (titolo originale assai più appropriato Network, ovvero rete televisiva), interpretato da uno straordinario Peter Finch, l’unica concreta chance di affermazione della propria libertà di pensiero consisteva nello spegnimento dell’apparecchio.
Ulteriore momento universitario memorabile fu quando un altro prof si scaldò più del solito con un gruppo di studenti a suo dire eccessivamente pigri. Non ricordo le parole esatte, ma il senso fu più o meno questo: “Il computer non è la televisione – così come smartphone e tablet, aggiungo io – e usarlo allo stesso modo, ovvero limitandoci a cliccare un tasto – ovvero a far scorrere immagini e video -, è come salire su un aeroplano e invece di volare guidarlo a terra come si farebbe con un auto o una bicicletta.”
Ecco perché preferisco a mio modesto parere il termine partecipante rispetto a utente. PC, cellulari e tablet non sono solo dei monitor più o meno grandi ma hanno degli strumenti di input come la tastiera, la camera o il microfono per condividere a nostra volta informazioni, il che vuol dire pensieri, idee, opinioni e quant’altro, auspicabilmente originali e sincere. Ma non si può pretendere nulla, giacché come detto internet siamo noi. E noi siamo l’umanità, ecco, non è che sia mai stato un gran biglietto da visita, né ora e tanto meno prima dell’avvento del World Wide Web. Quest’ultimo in particolare si deve all’ulteriore invenzione di Tim Berners-Lee e rappresenta il sistema attraverso il quale oggigiorno siamo in grado di navigare nella rete tra un sito e l’altro.
Rammento i primi anni di internet e non posso fare a meno di confrontarli con ciò che è diventato nel tempo sino a oggi.
Agli inizi, chi c’era o gliel’hanno raccontato se lo ricorda, il web era assai più simile all’idea iniziale. Noi collegati tra noi, punto. Chiunque e ovunque. I primi tempi sono stati eccezionali perché come in ogni esordio vi era un gran fermento di idee nuove e molte di esse coerenti con l’intuizione primigenia: we the people - per usare un'espressione cara agli statunitensi - noi la gente in grado finalmente di mettere le informazioni dell’uno al servizio della collettività.
In parte, nonostante tutto, internet è ancora questo, ma con l’aumento del numero dei connessi è accaduto l’inevitabile. Sarebbe stato incredibilmente ingenuo pensare che coloro i quali vedono il prossimo soltanto come mucche da mungere o greggi di pecore da controllare e guidare a piacimento sarebbero rimasti a guardare.
Quando ricordo il giorno in cui il mio prof disse che internet siamo noi, mi rammento anche che tra noi altri ci sono pure loro. In questo noi ci sono gli stessi grandi media affetti dal delirio di onnipotenza e le schizofreniche multinazionali che gestivano in modo folle e sconsiderato le politiche e l’economia delle reti televisive.
In questo noi ci siamo tutti, ormai, tranne i presunti piccoli del mondo, i quali erano fuori della porta prima e lo sono ancora adesso, anche se per quanto riguarda il web attuale non sono più così convinto che sia un male per loro.
Per tornare al punto di partenza, in questo "noi" ci sono tanti cittadini medi, ma ci sono anche i miliardari, gli uomini di potere quasi illimitato, le persone abituate a comandare e soprattutto a farsi obbedire, gli individui ossessionati dal culto di se stessi e dall’illusione di poter piacere a tutti. Un tempo gestivano i giornali, quindi le reti televisive e oggi i social network, come semplici investitori o addirittura proprietari.
Non sono cambiati affatto e il modo grossolano, patetico e puerile con cui pretendono di amministrare tutto e tutti in accordo ai loro gusti e interessi è sempre lo stesso. Ma noi, la gente, we the people, dovremmo dimostrare di aver imparato la vecchia lezione dei prof o delle persone comuni che ci hanno preceduto. Ed essa ci dice che sono loro ad aver bisogno di noi, giammai il contrario.
È sufficiente prendere il telecomando e spegnere, chiudere il dispositivo o il modem, staccare la corrente, o addirittura cancellare l’iscrizione, se preferite.
Lo dico per esperienza personale. Un secondo dopo internet sarà ancora lì attorno a noi. Perché a dirla tutta, una rete in grado di metterci in relazione gli uni con gli altri esisteva già. Eravamo noi e bastava alzarsi una buona volta dal divano di cui sopra per scendere in piazza e scambiare idee ed emozioni faccia a faccia.
Non ci serve un altro miliardario megalomane che ci aiuti a farlo.

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