Inconsapevolmente utili

Storie e Notizie N. 2092

Probabilmente per alcuni tra i più giovani - ovvero coloro che ci sono nati con l’ormai sempre più assillante preoccupazione riguardo all’effetto deleterio della presenza umana per ogni altra creatura vivente, oltre al pianeta stesso, risulta più facile accettare tale imbarazzante sentenza sulla nostra specie. Per poi giustamente arrabbiarsi prima di tutto con la mia, di generazione, principale responsabile dell’ambiente malato in cui li abbiamo messi al mondo.
A chi è della mia età, più o meno, hanno insegnato che esistevano eccome i cattivi, a cominciare dai nazisti e anche i fascisti, malgrado da noi ancora oggi sembra che in fondo, a parte le leggi razziali, il ventennio sia stato un periodo mica da buttar via, dopo tutto. Ma c’erano anche i buoni, okay? Gli eroi integerrimi e invincibili dal lato giusto della Storia, almeno sino a quando non hanno finito con l’occupare tutti i posti liberi di Brechtiana memoria. Tra la fine degli anni ‘60 e gli ‘80 del secolo scorso, il periodo della mia infanzia, tra i film al cinema o in tv, nei romanzi e i fumetti, avevi l’imbarazzo della scelta ma nei racconti più popolari gli impavidi condottieri erano quasi sempre statunitensi o inglesi. Dai soldati che salvavano il mondo da Hitler ai ben più discutibili cowboy che si sfidavano a duello, ovviamente tra uno sterminio e l’altro dei nativi; dagli agenti segreti che salvavano di nuovo tutti noi da quei cattivoni dei russi prima e dei cinesi poi con l’aggiornamento di sistema sino ai reduci dell’ultima guerra in ordine di tempo, che una volta in patria mettevano a frutto le proprie competenze omicide per una buona causa.
Cattivi da una parte e buoni dall’altra, e tutto era più semplice, come nelle fiabe o meglio in una storia, con intento riparatore e a lieto fine, per essere coerenti con il sito in cui ci troviamo.
È capitato a tutti, lo so bene. In ogni epoca, per ciascuno di noi è dura, soprattutto nella fase della maturazione definitiva, accogliere l’idea che quel confine tra rei e pii non esiste affatto, che bianco e nero sono tonalità inventate e che neanche il grigio se la passa bene. Ma un conto è scoprire che la realtà umana è intessuta di sfumature e sfaccettature una più complessa dell’altra e che di netto e assoluto non v’è nulla e ben altro scoprire che la tua specie non solo è responsabile della prossima prematura scomparsa della vita sulla terra, ma pur sapendolo continua imperterrita nella sua opera di devastazione di tutto ciò che c’è di vivo e anche di bello attorno a noi.
Guardo i miei figli e ogni volta che penso a tutto questo mi sento in colpa e mi vergogno. Ciò nonostante, ormai da quasi trent’anni mi trovo spesso ad avere a che fare con gli adolescenti tramite il teatro e faccio un tifo sfegatato per ciascuno di loro, cercando di incoraggiarli a ignorare e disimparare le nostre cattive lezioni, in modo che facciano il possibile almeno per rallentare il distruttivo piano che abbiamo ordito.
Poi però ti capita un istante come quello di stamattina, quando mi sono ritrovato a parlare con un amico e collega che tra le altre cose si occupa di natura, ovvero piante e terra, semi e frutti. L’argomento della conversazione era l’importanza di trovare il tempo, di tanto in tanto, di vedere, oltre che limitarsi a guardare. Niente di eccezionale, roba semplice e scontata, come solo in apparenza potrebbe risultare ciò che mi ha detto a riguardo.
Mi ha raccontato che per settimane, quando i proprietari delle auto che di norma sono parcheggiate sul prato accanto al terreno sul quale lavora con i ragazzi le spostavano per andarsene, subito dopo vedeva frotte di piccioni e altri uccelli gettarvisi a capofitto.
La scena si ripeteva puntualmente e il nostro non ne capiva il motivo, anche perché ogni volta che si avvicinava, gli animali volavano via, spaventati dal solito umano scocciatore. Finché un bel giorno si è accovacciato il massimo che gli è stato possibile e oltre ad avvicinare lo sguardo alla superficie del prato ha fatto lo stesso con le mani. Quindi ha sollevato il capo verso l’alto, ammirando le querce nei pressi e così ha risolto il giallo. In breve, i frutti di quelle piante, comunissime ghiande, giunte in terra venivano sbriciolate a puntino dalle ruote delle automobili e una volta che queste ultime si toglievano di mezzo i volatili affamati potevano abbuffarsi in tutta tranquillità con il cibo opportunamente sminuzzato. O, meglio, inconsapevolmente.
Ecco, sarà poco, ovvero quasi nulla, ma questa notizia mi ha messo improvvisamente di buon umore, il che la dice lunga. Perché mi ha esortato a puntare ogni speranza rimasta sull’unica eventualità possibile, ormai. Che come per le ghiande, la nostra specie risulti utile alle altre creature del mondo in ulteriori e numerosi modi
auspicabilmente senza rendersene conto.
Perché temo che una volta scoperta la cosa, qualcuno dei nostri simili potrebbe farsi avanti per proporre una maniera per trarne vantaggio a discapito di quei poveri uccelli...

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