Ricorda questo momento
Storie e Notizie N. 2108
Mi fermo. Ci provo, vorrei farlo ogni volta, ma non sempre è facile.
Il tempo vola, si dice, corriamo perché dobbiamo.
Dobbiamo, ma spesso non ricordiamo perché.
Siamo fatti così, perché viviamo così, perché ci hanno messo al mondo, così, e perché ci hanno educato in questo modo.
Al contempo, ci sono persone là fuori, al di là dei binari sui quali il treno della nostra controversa esistenza viaggia sempre più senza soste, le quali sanno perfettamente dove stanno andando, anche se non sembra. Costoro vorrebbero fermarsi una volta per tutte, sarebbe un sogno trovare casa e lì restarvi per poter sul serio considerarla tale.
Non serve avvicinarsi al finestrino dei nostri affollati e caotici scompartimenti per osservarle e carpire il sottotesto del vivere diverso. Dell’esistere come obiettivo, giammai come dettaglio secondario.
Apri un giornale ed è tutto lì: barcone di migranti soccorso in mare dalla Guardia costiera.
Aspetta, ti prego. Non voltare pagina, non voltarti, non voltare l’anima che ci resta.
Leggiamo ancora: ci sono anche 8 persone morte a bordo dell’imbarcazione diretta a Lampedusa.
No… per favore, non andartene, resta ancora un attimo, non lasciarmi solo, non lasciare loro, soli, e dimentica pure per sempre il sottoscritto, il patto mi sta più che bene, è il senso di questa pagina.
Voglio sperare che tu sia ancora qui, leggiamo insieme il resto: le vittime sono decedute a causa del freddo e della fame e secondo i racconti di chi è sopravvissuto, durante il viaggio un neonato è morto per gli stenti.
So perché a questo punto potresti cedere e decidere di allontanarti, capita spesso anche a me, e forse mi sbaglio, ma più il tempo passa e altrettanto mi convinco che in questo modo la distanza che aumenta non è tra noi e la notizia, bensì tra noi, punto.
Mettiamo quindi che ti abbia convinto, facciamoci forza a vicenda e arriviamo alla fine: il bimbo è stato gettato tra le onde del mare dalla stessa madre sopraffatta dalla disperazione.
Un solo istante ancora, ti supplico.
Chiudi gli occhi se ti è di qualche d’aiuto.
Spegniamo ed escludiamo il resto, tra gli assordanti rumori più o meno molesti e la follia di colori e forme che da queste parti chiamiamo società, città, fare o non fare quotidiano.
Fianco a fianco sforziamoci di vedere, più che guardare, in silenzio per sentire senza blaterare, e provare a decifrare l’incomprensibile didascalia, l’immorale morale e il dissennato senso di ciò che abbiamo appena letto, assorbito, e incredibilmente accettato come normale: una donna, una madre, che da una barca in un mare a noi vicino getta il proprio figlio appena nato e già morto.
Fermiamoci ora, insieme.
E ogni volta che avrai voglia di dire qualcosa sull’argomento.
Ricorda questo momento.
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