Il problema è la distanza
Storie e Notizie N. 2133
Nulla di nuovo nella premessa di questa ennesima storia: una minoranza privilegiata spreca le ricchezze della terra, provocando sofferenze e morte tra la maggioranza degli esseri umani. E il grottesco paradosso, che risulta incomprensibile a qualsiasi creatura vivente del nostro pianeta, è che prima o poi tale ottuso atteggiamento danneggerà tutti, nessuno escluso.
In particolare, il racconto odierno parla di acqua. Ovvero di quale sia il problema. Non si può non concordare con la professoressa Hannah Cloke dell'università di Reading, nel Regno Unito, quando nell’articolo ispiratore afferma che più che i cambiamenti climatici e la crescita della popolazione, il vero problema è la diseguaglianza sociale, a causa della quale ci troviamo nella situazione dell’incipit di questa pagina.
Tuttavia, quando leggo nel medesimo articolo che le piscine e i prati irrigati costantemente nelle grandi città contribuiscono all’enorme divario tra i pochi che danno per scontata l’acqua in ogni suo utilizzo e tutti gli altri, ciò mi induce a pensare che il problema sia un altro ancora. Ovvero, uno degli altri, ma che non è da meno dei precedenti.
Per considerarne la portata è sufficiente a mio modesto parere usare un pizzico di immaginazione, che d’altra parte è uno dei pochi talenti che la povertà non è in grado di cancellare. Anzi, ho la ferma convinzione che sia una sorta di amplificatore della medesima.
Allora, mi figuro il privilegiato di turno, ma non uno qualunque. Mi riferisco a quella tipologia di individui che sono direttamente responsabili di ripetute scelte scellerate ai danni dei più, le quali fanno presupporre uno schema per nulla casuale.
Tra poco arriverà il caldo e anche stavolta diranno che supererà ogni record, ma il protagonista di oggi non se ne curerà più di tanto. Quelli come lui non leggono il meteo perché le temperature e il clima li regolano da soli come si fa con la tv tramite il telecomando. E questa è la più grande illusione che una mente umana abbia mai potuto partorire.
Così, dopo aver fatto colazione si spoglia, infila costume e ciabatte, e dopo aver afferrato l’accappatoio esce in giardino e raggiunge l’adorata piscina.
Quindi, tramite un’app sul cellulare – ne ha una per ogni presunta necessità – aziona l’impianto di irrigazione del prato, lancia l’accappatoio sulla sdraio, toglie le ciabatte e si tuffa. Diciamo pure che dà una sonora panciata, ma sono dettagli trascurabili. Perché non c’è anima viva nei pressi. Il nostro è solo, lontano da tutto e tutti a godere della buona sorte.
L’avevo detto che il problema è la distanza, no? Mi riferisco a quella reale, ma anche alla versione digitale, alimentata ulteriormente dagli strumenti del web che promettono relazioni e vicinanza, invece vendono l’opposto. Sarà per questo che taluni si arrabbiano così tanto quando le genti d’oltremare osano ridurre improvvisamente i chilometri che ci dividono presentandosi sulle nostre coste. Disturbano un incanto che deve restare tale, ovvero lo schema di cui sopra.
Be’, a questo punto della storia vorrei che la mia immaginazione, così come quella dei reietti del mondo, godesse della velocità della luce, in modo da confermare due tra le principali conseguenze della teoria di Einstein: dilatazione dei tempi e soprattutto contrazione delle lunghezze.
Perché se così fosse pagherei qualsiasi cifra per vedere come evolve la storiella da qui in poi. A dire il vero, è ciò che vedo ora.
Vedo il tizio che si rinfresca apparentemente indisturbato con un’espressione ebete, mentre le pompe innaffiano e rinfrescano senza risparmio le sue preziose foglioline.
Nondimeno, un secondo più tardi vedo ciò che vede lui, o che dovrebbe vedere se avesse ancora uno straccio di umana coscienza.
Insieme, quindi, vediamo almeno due miliardi di persone letteralmente prive di acqua potabile, con cui lavarsi o pulire il cibo, con cui sopravvivere anche solo un giorno.
Con medesimi occhi, osserviamo due volte mille milioni di corpi assetati e stremati collassare su quel minuscolo prato egoista e al contempo ammassarsi in modo inammissibile sino ai bordi di quel rettangolo d’acqua sbagliato, per poi precipitare in esso con una voracità, al contrario, di una giustezza inaudita.
Tutta un’altra cosa che assistere a tale verosimile scenario in un innocuo schermo, magari seduti comodi in poltrona o addirittura sul materassino in piscina, tramite il solito film o documentario impegnati, o anche uno spot ambientalista e una manifestazione di piazza, per poi tornare a farsi i cazzi propri, mi sbaglio?
Dannata distanza...
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