Alla fine dell’arcobaleno dei nostri abiti
Storie e Notizie N. 2155
Qui Africa, dove tutto ha avuto inizio.
E, ora, anche fine.
Precisamente siamo al mercato dell’abbigliamento usato di Kantamanto, ad Accra, in Ghana.
Hai presente, no? Quelle vie strette e affollate tra banchi tutti uguali ricoperti da cumuli di vestiti. Pantaloni, magliette, camicie e giacche di ogni tessuto. Ma soprattutto stile e colore, secondo le mode e i gusti del momento.
Un sorta di arcobaleno che come un serpente si snoda sul nostro pianeta da un punto all’altro di quest’ultimo, invece che nel cielo.
Forse sarà per questo che alla fine non vi è alcun tesoro da trovare.
È la solita vecchia impalcatura su cui si regge il racconto dell’umanità che abbiamo scelto di interpretare, la cui morale, per chi vive all’estremo opposto, è a dir poco amara.
Nel mentre, la vita procede indifferente risalendo l’iniqua corrente all’inverso.
Chiunque di noi, sul versante in cui vestirsi è il più delle volte una modalità di espressione della personalità o umore del momento – invece che soltanto una mera protezione dalle intemperie o delle personali intimità -, ha almeno una volta attraversato quei viali pieni di avventori con le mani a esplorare montagne di tessuti colorati alla ricerca dell’affare migliore.
Lo spettacolo che soddisfa attori e clienti deve andare avanti, ma quando il sipario chiude dalle nostre parti, quel che resta dev’essere smaltito e ciò dev’essere fatto il più lontano possibile dai nostri esigenti quanto vulnerabili sensi, tra cui la vista e l’olfatto, oltre alle più prosaiche tasche.
Vale per ogni cosa, da tempo immemore, e anche i vestiti seguono il medesimo destino.
Gli stracci, potremmo definirli, o con maggior tatto quella maglia che nessuno indossa più, i pantaloni i cui strappi sulle ginocchia hanno smesso di essere adatti all’età, la camicia che non riesci a chiudere, dannata pasta asciutta, e così via.
Che sia attraverso il seppur lodevole raccoglitore di abiti usati o i rifiuti di grandi dimensioni di cui si liberano le multinazionali del vestito, a un tratto il racconto si interrompe. Il problema è risolto, i personaggi trascurabili escono di scena come gli oggetti inutili e sotto con i vari sequel della storia principale.
Ma questo non vuol dire che non ci sia ancora vita là fuori, dove il variopinto serpente di cui sopra va a morire lontano dai nostri occhi come gli elefanti.
Ovvero, dovrei dire dove viene mandato a morire.
È una condanna, giammai una scelta.
Qui Africa, quindi.
Dove ogni cosa ebbe inizio, tutto e tutti, anche noi.
E dove ciò che avevi e usavi ha ora fine.
Come con l’abbigliamento, già, ma potremmo lasciare intatta tale indegna vicenda limitandoci a cambiare merce: il crimine è sempre lo stesso, quello che costringe gli abitanti di Accra, sommersi dai nostri vecchi vestiti, a metterne da parte 100 tonnellate ogni giorno. Quasi 3 milioni di articoli che arrivano al mercato di Kantamanto vengono scartati ogni settimana.
In questi giorni alcuni commercianti ghanesi sono a Bruxelles per fare pressione sull’Unione Europea, affinché chi di dovere si prenda le sue responsabilità di quanto sta accadendo da decenni. Perché tutto ciò non solo impoverisce sempre di più la popolazione, i cui debiti aumentano di anno in anno, ma la crescita insostenibile di rifiuti, con le discariche comunque illegali ormai strapiene, fa sì che finiscano in fossati e scarichi improvvisati, rilasciando coloranti in mare e fiumi, e ricoprendo le spiagge con vasti grovigli di vestiti.
Si parla di una vera catastrofe ambientale, oltre che la rovina dell’unico mezzo di sostentamento di molti, ovvero la pesca.
Ecco cosa c’è alla fine dell’arcobaleno...
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