Siamo i guardiani della Terra

Storie e Notizie N. 2142

Saranno le mie origini non occidentali a farsi sentire, ma oggi vorrei essere a tutti gli effetti un membro degli U’wa, una popolazione indigena della Colombia. E allora, come tale, mi impegno a credere con tutto me stesso che il mondo in cui viviamo ci sia stato donato purché disposti a svolgere il ruolo per il quale siamo stati scelti: salvaguardare la madre Terra.
Questo è il principale compito della nostra comunità: aver cura del pianeta che ci è stato affidato, punto. Non ci possono essere fraintendimenti in uno scopo così alto.
Certo, per i molti siamo solo dei
selvaggi. Diciamola tutta, su. Quando si legge la parola “indigeno” o vengono mostrate immagini di individui seminudi nel bel mezzo di una foresta, alla maggioranza degli abitanti dal lato moderno dello schermo vengono in mente arretratezza e inciviltà.
Nondimeno, malgrado si viva nella medesima epoca, per alcuni è ininfluente ciò che fanno gli altri popoli della vita che gli resta.
Difficile altrimenti, quando per le genti vicine – della serie il destino nel nome – U’wa vuol dire “il popolo che pensa” o che “sa parlare bene”. Impossibile per quel popolo stesso, allorché il significato che preferisce sia “popolo” e niente più. È sufficiente questo per accettare la missione per cui si è venuti alla luce: aver cura della Terra, già, s’è detto all’inizio.
D’altra parte, trattasi di decisione inevitabile al pensiero che in caso contrario Sira, il creatore, si vendicherà tramite calamità naturali come terremoti, uragani, inondazioni e oscurità. In un certo senso lo sta già facendo e, se proprio devo dire la mia a riguardo, dovrebbe evitare di colpire a casaccio, infierendo su chi in realtà è innocente.
Ciò nonostante, gli U’wa non hanno mai smesso di tenere fede al patto e ancora oggi, dopo secoli, con indomito coraggio si ritrovano a lottare contro il più potente e crudele nemico che i guardiani della Terra di ogni luogo e tempo abbiano mai affrontato: le multinazionali del petrolio.
I nostri, o perlomeno miei, nel tempo hanno resistito alle aggressioni di molti temibili avversari, come i conquistadores, i coloni e i falsi missionari, i gruppi militari, paramilitari e i guerriglieri. La popolazione nel tempo è diminuita, così come la terra che l’ha messa al mondo, ma quando per definire quest’ultima essa sceglie l’aggettivo “ancestrale”, vuol dire che qualora i tuoi passi ne calpestino i prati e le rive dei fiumi, allorché le tue mani ne sfiorino le foglie e la corteccia degli alberi, laddove i tuoi occhi trovino il tempo di ammirare ciò che finora è sfuggito alle zanne del presunto progresso, è come entrare in un tempio vivente. Puoi anche non crederci, ma per qualcuno altro è qualcosa di sacro.
Il problema dei problemi di questi tempi, a mio modesto parere, è quando coloro che sono votati a esserne i custodi siano convinti di stare proteggendo qualcosa che dovrebbe essere caro anche a te. In verità, a tutti, nessuno escluso.
In questi giorni, i circa 6.000 sopravvissuti del popolo che si autodefinisce tale hanno sentito ravvivarsi il seppur provato fuoco della speranza mai domato nel bel mezzo del petto.
Difatti gli U’wa hanno presentato ufficialmente una denuncia formale nei confronti del governo della Colombia presso la Corte interamericana dei diritti umani.
Il reato è evidente e spiegato con parole semplici quanto inequivocabili: agevolando o agendo in combutta con le compagnie petrolifere, i governanti – mancati protettori della cosa pubblica – hanno ripetutamente violato le terre dei loro avi, minacciando la sopravvivenza degli abitanti, inquinandole con il sangue del pianeta, ovvero come gli U’wa chiamano il petrolio.
La suddetta Corte ha giurisdizione vincolante nella maggior parte dei paesi dell'America Latina, quindi teoricamente una sentenza a favore degli U’wa potrebbe aiutare a proteggere molti popoli indigeni e gli ecosistemi in cui vivono. Forse dovrei dire viviamo. O perlomeno in questa mia personale aspirazione, vivo.
Non sono particolarmente ottimista sulla conclusione di questa storia. In generale non lo sono più da un po’.
Ma oggi, anche solo per il tempo di una pagina, mi sento felice e orgoglioso di fare parte di un popolo che ha come primo compito la salvaguardia della Terra.
Perché da bambino credevo che fosse l’umanità…

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