C’è ancora spazio tra i disegni

Storie e Notizie N. 2162

C’erano una volta quattro bambini, e già qui siamo in odore di fiaba.
Quattro ragazzini dispersi e soli nella giungla, ed ecco l’avventura che in molti cercano in un racconto.
La pericolosa e selvaggia foresta della Colombia, e abbiamo quanto basta per rendere la trama avvincente, guadagnandosi quello che Stephen King chiama “il dono del dopo”, ovvero la tutt’altro che scontata peculiarità delle storie migliori: la capacità di catturarti a tal punto da non poter fare a meno di voltare pagina e scoprire come va a finire.
Se poi sai che non è soltanto uno di quegli adattamenti preceduti da scritte tipo “Ispirato a fatti realmente accaduti”, ma che è tutto incredibilmente vero, non posso fare a meno di spoilerare il finale, come si dice oggi.
La storia ha avuto un lieto fine, ma questo non vuol dire che non sia utile leggere ciò che è accaduto quando la felice conclusione non era affatto scontata. Anche perché, come si dice spesso, il bello del viaggio è in ciò che accade durante quest’ultimo prima di arrivare alla meta prefissata.
Soprattutto fa riflettere, o dovrebbe farlo, quel che resta e anche ciò che è rimasto indietro.
Come il fatto indiscutibile che spiega il perché i quattro siano riusciti a sopravvivere da soli per 40 giorni e 40 notti prima di essere soccorsi dai militari colombiani: i fratelli e le sorelle, soprattutto la più grande, sapevano a menadito dove si trovavano. Conoscevano la terra in cui sono nati, le piante e gli animali, dove trovare il cibo e da bere, cosa fosse commestibile e cosa letale e pericoloso. Qualcosa che a queste latitudini ignorano perfino gli adulti fino alla fine dei propri giorni. Qualcosa che rende i nostri protagonisti più forti ed evolutivamente avvantaggiati rispetto a molti dei loro simili, malgrado il nome con cui sovente vengono definiti, ovvero indigeni, evochi nella nostra mente tutto l’opposto.
Tra ciò che resta vi sono anche i loro disegni una volta usciti dall’incubo. Tra tutti quello della maggiore, la tredicenne Lesley, e quello della sorellina di nove anni, Soleiny.
Forme e colori che raccontano tanto, forse tutto ciò che vale la pena ricordare più di ogni altra cosa.
A cominciare da quel che è rimasto indietro, come detto, ovvero il coraggioso e generoso Wilson, il cane da pastore belga addetto al soccorso che risulta disperso a sua volta dopo aver dato un contributo decisivo al salvataggio dei bambini.
I militari confidano nel fatto di riuscire a trovarlo e le speranze dei piccoli sono le mie, come immagino quelle di chi legge.
Tuttavia, quando guardo quei disegni, a mio modesto parere mi dico che rappresentano molto di più di quel che mostrano, come sovente accade quando è una fantasia innocente a riempire il foglio.
In essi vedo un mondo dove la vita che viene alla luce in armonia con la terra che l’ha generata, lotta e cammina assieme a essa in tutte le sue forme, giammai contro, e in tal modo affronta le sue battaglie quotidiane per vivere un altro giorno e un altro ancora.
Be’, come vorrei che ci fosse ancora spazio per noi in quei disegni…

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