Spot Esselunga pesca e il tradimento delle immagini

Storie e Notizie N. 2182

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Il tradimento delle immagini 2.0 potrebbe essere il sottotitolo di questa storia. Nella versione originale è a sua volta il titolo di un famoso dipinto che risale al 1929 del pittore belga René Magritte, il quale con arguta semplicità lanciò a suo tempo una sorta di avvertimento sulla perniciosa ambiguità che esiste tra il moderno racconto per immagini e ciò che esse rappresentano, intendono, sottintendono e nascondono, incoraggiandoci a riconoscere la reale e concreta essenza del contenuto di ciò che vediamo. E solo in seguito, qualora se ne abbia la voglia, ragionare sul resto.
L’opera di Magritte, in apparenza contraddicendo ciò che effettivamente mostra, porta difatti anche il nome di Questa non è una pipa, che poi è la scritta inserita nel ritratto stesso al di sotto di una comune pipa.
Ebbene, parafrasando l’idea con il dovuto rispetto per Magritte, possiamo tranquillamente affermare che ciò che vediamo nel video dell’azienda Esselunga, assai chiacchierato - più che discusso - in questi giorni, non è una bambina con i genitori separati, non è una pesca e non è una famiglia, per quanto non convenzionale: è uno spot pubblicitario. È ciò che è in realtà, puro e semplice.
E cos’è una pubblicità? È una forma di comunicazione di massa che le aziende utilizzano per costruire il consenso attorno ai propri marchi e i relativi prodotti. Lo scopo è altresì noto: aumentare le vendite di ciò che viene messo in commercio.
Non stiamo parlando quindi di cinema, ovvero di un cortometraggio. Non stiamo parlando di arte più o meno alta, ma di marketing. Non si può assolutamente prescindere da questo punto prima di affrontare qualsivoglia discorso, altrimenti siamo ancora prigionieri del secolo passato, incatenati a un divano come nel finale della sigla de I Simpson, obbligati a subire i dettami del piccolo schermo con la sola libertà di cambiare canale o spegnere, per poi correre al supermercato e obbedire agli ordini dell’unico messaggio che contava e conta ancora oggi per i network di questo mondo, inserito con cura maniacale tra il telegiornale e il film della sera.
D’altronde, come ho letto, è lo stesso ideatore dello spot che lo definisce un prodotto.  Il prodotto di un’agenzia creativa, come si chiamano oggi nella versione moderna, ma è sempre pubblicità ciò di cui si occupano, come è una pubblicità quella che abbiamo davanti, con la definizione di cui sopra: un prodotto per incrementare le vendite di un altro. Tutto ciò che è quindi raffigurato nel video è altrettanto un prodotto. Senza alcuna critica, è un dato di fatto, è negli scopi di un pubblicitario che ogni elemento del tutto non abbia chissà quale valore intrinseco oltre a quello di aumentare gli introiti del committente in modo verificabile alla fine del successivo trimestre.
Nel video in oggetto, che non è una bimba, non è una famiglia e non è una pesca, questi ultimi non sono altro che prodotti a loro volta. La pesca lo è chiaramente, in quanto acquistata dalla madre per accontentare la figlia. Capire che per chi fa pubblicità e chi ne paga il lavoro non v’è alcuna differenza tra un frutto, un qualsivoglia oggetto inanimato e un essere umano, richiede di fare solo un ulteriore piccolo sforzo.
Ciò nonostante, su molti quotidiani a tiratura nazionale e nel resto della rete sono ancora oggi molto accese le discussioni intorno al presunto tema centrale dello spot, ovvero "la famiglia separata", "la solitudine" e "i sentimenti" dei loro figli, la "società intera", eccetera, non facendo altro che il gioco del pubblicitario e del cliente, l’ormai abusato “basta che se ne parli”. Nondimeno, ciò che ha reso il video ulteriormente virale non è neppure questo, ma l’identikit di chi è sceso in campo a spada tratta contro i suoi detrattori.
Come tutti sanno da alcuni decenni anche i partiti politici e i loro esponenti si avvalgono della consulenza di agenzie pubblicitarie, o se preferite creative, per realizzare le proprie campagne elettorali. E in quel caso i prodotti disumanizzati venduti come persone in carne e ossa, i cui interessi dovrebbero essere nel messaggio al centro dei pensieri del committente, siamo tutti noi.
C’è chi lo fa con moderazione soltanto prima delle elezioni e chi non può fare a meno di continuare anche dopo, visto poi che c’è un noto venditore che in Italia ha regnato al governo per più di vent’anni.
Ecco perché non mi sorprende affatto che i primi a solidarizzare con lo spot sono stati il presidente del consiglio Meloni e il ministro Salvini.
È una cosa normale tra colleghi…

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