Strisce pedonali: perché in Italia non ci fermiamo?

Storie e Notizie N. 2192

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C’erano una volta le strisce pedonali. E ci sono ancora, sono lì, davvero, anche se talvolta sbiadite, ma ci sono.
Non è un caso. Non è un semplice abbellimento del tappeto stradale.
Servono a qualcosa di importante, possiamo pure dire vitale, e già il fatto che dobbiamo dirlo, addirittura scriverlo, spiega tutto.
Perché nel nostro Paese anche questo è diverso.
Nel 2022 ci sono stati 17.765 investimenti di pedoni (nel 2021 furono 17.164), 48 al giorno, due all’ora, in cui sono morti 485 nostri concittadini. Solo nel 2023, fino al 20 agosto, si contano già più di 260 vittime. Certo, non tutti gli incidenti sono accaduti sulle strisce, ma capita spesso anche questo.
Perché da noi non ci si ferma nei pressi delle strisce pedonali se non si è proprio obbligati. Ci scherziamo su, lo fanno i comici e ridiamo, vediamo parodie come quella geniale di Bozzetto e magari il sorriso si fa malinconico, ma finisce lì.
Poi ci mettiamo in viaggio, oltrepassiamo il confine e in quasi ogni altra città d’Europa e in molte altre nel mondo, tutte le volte che ci accingiamo ad attraversare restiamo esterrefatti. Ci meravigliamo quando vediamo che gli automobilisti rallentano addirittura decine di metri prima di quella successione di candide bande di forma rettangolare. E con il passare del tempo ne apprezziamo i vantaggi. Ugualmente, qualora ci si ritrovi al volante, veniamo puntualmente sgridati da tutti, pedoni e non, perché qui si fa così. E allora ci adeguiamo e facciamo anche noi come gli stranieri. Ovvero, smettiamo di essere tali.
Solo che, una volta tornati in patria, con il trascorrere dei giorni il virus ci avvelena di nuovo e ritorniamo come prima.
Qual è il motivo?
Forse perché abbiamo sempre fretta. Di andare da qualche parte, o meglio, di fuggir via da dove siamo partiti.
Perché noi facciamo come ci pare finché ci è concesso e non saranno di certo delle macchie bianche sul selciato a impedircelo.
Soprattutto se non ci riesce il pericolo di far male al prossimo o addirittura ucciderlo.
Banalmente e senza alcuna originalità, perché una volta al volante ci trasformiamo. La novità consiste in quale tipo di bizzarra e disumana creatura diventiamo di anno in anno.
Perché noi e qualunque sia la nostra destinazione, dall’ufficio o perfino il supermercato, sono per definizione più importanti di tutto ciò che esiste al di fuori del nostro corpo, figuriamoci dell’abitacolo.
Perché vediamo l’altro che ci sfreccia accanto come un rivale, un nemico, qualcuno da superare e lasciare alle spalle.
Siamo onesti fino in fondo: consideriamo tutti in questo modo, anche quando camminiamo.
Ecco perché, mentre ci avviciniamo a quelle fastidiose strisce, riconosciamo nel pedone di oggi, l’avversario di ieri e domani, quando eravamo e saremo noi, di nuovo, privati del potere del motore e delle ruote.
Perché se ci fermiamo al momento giusto, come quegli ingenui degli stranieri che lo fanno perfino decine di metri prima, sarebbe come ammettere che i diritti di coloro che desiderano solo raggiungere il marciapiede di fronte vengono prima dei nostri.
A prescindere da chi siamo e dove stiamo andando.
E questo, per molti, troppi di noi, al volante o meno, è qualcosa di inaccettabile.
Prima noi.

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