Un’altra storia dietro la Storia

Storie e Notizie N. 2184

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C’era una volta una storia dietro la Storia.
Un’altra.
Un po’ il senso di queste pagine fin dalla prima, ovvero provare a raccontare ciò che ieri come oggi viene sistematicamente omesso dalla trama in vetrina.
Non è la prima occasione in cui da queste parti mi impegno a sottolineare i crimini del colonialismo e rimarcare altrettanto l’urgenza di soddisfacenti forme di riparazione, oltre a quella di rinfrescare la memoria del passato delittuoso, più che imbarazzante, di molte nazioni occidentali.
Ecco perché oggi vorrei offrire un’ulteriore angolazione dalla quale riflettere sui tempi andati, partendo come sempre dall’attualità, per poi tornare rapidamente alle corrispondenze con l’oggi. Quest’ultimo passo è quanto mai necessario, altrimenti è stato davvero tutto inutile.
Iniziamo allora, come al solito, da una notizia recente, fatta di numeri e giustizia, due concetti differenti ma con in comune l’assoluta indiscutibilità: 67 donne, tra ben 4500, che tra il 1966 e il 1970 furono sottoposte contro la loro volontà alla sterilizzazione con l’inserimento della spirale. Alcune di loro avevano appena 12 anni e il nome del colpevole è oggi di nuovo in prima pagina, anche se si sapeva tutto già da tempo. Sto parlando del governo della Danimarca di allora. Mentre le vittime sono donne di discendenza Inuit, che nella loro lingua  vuol dire “il popolo”, da tempo in quegli anni non più “padrone a casa loro”, ovvero in Groenlandia, a causa di una reale invasione – giammai inventata a tavolino – di Norvegesi e naturalmente i Danesi.
67 giovanissime ragazze del secolo scorso, quindi. Anzi, 4000 più altre 500, le quali - mentre negli anni della cosiddetta rivoluzione giovanile le più o meno coetanee europee lottavano giustamente per affermare i propri diritti, sul proprio corpo e non solo - furono violentemente private della scelta di mettere al mondo vita. E ora, altrettanto a ragione, esigono perlomeno un risarcimento in denaro dallo Stato danese. Anche perché, per parlare di giustizia, ci vorrebbe perlomeno una macchina del tempo e la concreta possibilità di riviverne in modo diverso la Storia.
Ma se quest’ultimo è solo un miraggio, per la prima la scrittura quando si fa memoria può riuscire in qualcosa di simile, credo. Diciamo pure che spero. Per questo sono di nuovo qui, oggi. E allora, torniamo agli anni del crudele delitto, tra il 1966 e il ‘70, come detto, e raggiungiamo la terra dei colpevoli di allora, al posto dei quali gli eredi odierni sono chiamati a rispondere.
La Danimarca di quei tempi, oltre a essere una monarchia parlamentare dal 1901, aveva come primo ministro Jens Otto Krag, al governo dal ‘62 al ‘68 e dal ‘71 al ‘72. Quindi per buona parte del periodo incriminato in cui la nazione da lui guidata si macchiò dei suddetti orribili misfatti.
Il socialdemocratico, Krag, un importante leader del movimento operaio.
Un riformista e uno statista moderno, soprattutto in materia di economia, uno di quelli che piacciono da sempre a destra e sinistra dell’interessata platea bancaria e investitrice.
Un promotore dell’adesione militare alla Nato del suo Paese, così anche gli americani son contenti, il che serve sempre, eccome se serve.
Fu un altrettanto acceso sostenitore dell’adesione alla Comunità Europea, per far contenti proprio tutti quelli che contavano allora, ecco.
Ma ciò per cui il nostro fu ricordato e celebrato durante e dopo è per il suo progressismo nei confronti delle bambine e dei bambini - già, tu guarda un po’ come sembra strana la vita, ma invece non lo è affatto... - e per le famiglie con figli e le loro necessità. Danesi, esatto, sto parlando ovviamente dei cittadini danesi di sangue puro, ecco.
Al punto che il nostro fu descritto nel tempo come uno dei più grandi politici della Storia della Danimarca.
Tuttavia, guarda cosa accade con il passare del tempo, il quale può risultare amico o nemico di chiunque da un istante all’altro, non è mai qualcosa di personale. Non è altrettanto mia la volontà di infangare in alcun modo il ricordo del suddetto capo di Stato.
Non può esserci un solo colpevole, quando sul banco degli imputati vi è un’intera nazione.
È solo che di tanto in tanto, all’improvviso, il telone del cinema - sul quale vincitori e colonizzatori di ieri e oggi proiettano incessantemente il loro film – si strappa e si apre uno squarcio. E anche solo una piccola storia dietro la Storia con l’iniziale maiuscola si guadagna la scena.
Da cui, il sopra citato promesso quanto necessario ritorno al qui ed ora, che si riduce a una domanda, a mio avviso tristemente retorica: quante vicende simili e perfino più terribili si nascondono alle spalle di ciò che in questo preciso momento ti raccontano i governi sul loro operato oltre i confini della tua sovrana nazione?

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