Diritti umani e pari opportunità per tutti o nessuno

Storie e Notizie N. 2208

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Prendetelo come uno sfogo, più che una storia, quello di oggi.
Perché quando assisto a un così imponente e concorde dispiegamento di forze e parole, tempo e simbolici gesti, ma anche promesse e impegni di fronte a un inderogabile e sacrosanto diritto da parte di una ben definita categoria di persone a un’esistenza parimenti tutelata, mi viene da sperare altrettanto per tutte le altre.
D’altra parte, arrivando subito al sodo, resto convinto che tale aspettativa dovrebbe essere comune anche a tutti coloro che nel giorno specifico, che può essere l’ultimo o anche il successivo, si sono sentiti così partecipi dell’urgenza di un cambiamento radicale nel livello di equità con la quale un’intera popolazione tratta se stessa.
Altrimenti… be’, un attimo. Ci arrivo.
A esser ulteriormente franco, ho già scritto qualcosa a riguardo, ma vorrei cogliere l’occasione per tornarci di nuovo finché il ferro è caldo, come recita il proverbio. Ovvero, con evidente cinismo, potremmo anche dire sino a quando i giornali e i social network riterranno il tema della “violenza sulle donne” degno di click, state a vedere.
Chi mi conosce sa che da trent’anni impiego parte del mio tempo lavorativo in ambito terapeutico e clinico. Ebbene, quando sei lì, assieme ai colleghi, intento a offrire il tuo aiuto a chi lo richiede, sai che per far sì che gli sia davvero utile, l’empatia in grado di alimentare il tutto in modo decisivo deve essere assolutamente imparziale. Altrimenti, parola non a caso quest’oggi, la relazione che potrà agevolare il miglioramento atteso non funzionerà.
In altre parole, non sei d’aiuto perché chi hai davanti appartiene a una categoria o l’altra. Al contrario, lo sei proprio perché dimostri con i fatti che per te l’una o l’altra non avrebbero fatto alcuna differenza. Questo è l’ineludibile senso alla base di qualsiasi tipo di relazione che farà bene a entrambi, e anche a tutti coloro che sono attorno: una persona che solidarizza con un’altra, punto. È così che si costruisce una cultura del rispetto dei diritti che potrà essere in grado di abbattere i confini e i paletti che creano diseguaglianze e superare il tempo. O perlomeno andare oltre il momento in cui il tema di cui sopra sarà passato di moda.
Altrimenti, mi dispiace, ma stiamo facendo qualcos’altro e non è roba buona, a mio modesto parere.
Faccio un esempio personale, così mi spiego meglio, spero.
Prendiamo due notizie di oggi, che oramai sono all’ordine del giorno fin da quando ho memoria. Riguardano altrettante categorie di persone in qualche modo collegabili al sottoscritto: i “migranti” e i “neri”.
Nella prima si parla della fiducia ottenuta sul decreto legge Cutro 2 – che già chiamarlo così, fa venire i brividi – da parte del nostro governo, il quale prevede l’aumento di permanenza nei centri di detenzione per immigrati senza permesso di soggiorno di ben 60 giorni per i minori tra i 16 e i 18 anni, periodo che sale quindi a 5 mesi. Al contempo, per le ragazze e i ragazzi con meno di 16 anni si passa da 30 a 45 giorni.
L’altra notizia segnala l’ennesimo caso di razzismo in Italia, con un ristoratore di Licata, in provincia di Agrigento, il quale ha elencato alcuni dei messaggi offensivi ricevuti e rivolti ai giovani che ha assunto, rei di non avere un colore della pelle degno di poter servire la pizza ai clienti bianchi.
Ecco, qualora avvertissi l’urgenza di schierarmi e alzare la voce soltanto perché anche la mia carnagione non è della tonalità gradita da costoro o perché sono figlio di un immigrato africano, ogni mio gesto e ciascuna parola, per quanto giusti e urgenti, sarebbero vuoti della necessaria forza per poter anche solo sognare di contribuire a un reale cambiamento.
Mosso unicamente dalla familiarità che avverto per la vittima di turno, sarebbe come se stessi facendo qualcosa per me stesso, più che per loro, gli altri, o meglio, ciascuno di noi.
Cerco di essere ancora più chiaro: se affermi di indignarti di fronte all’ennesimo femminicidio, ma poi resti indifferente se un ragazzino viene messo in cella soltanto perché è arrivato sul lato sbagliato del mare o un altro è costretto a lavorare in cucina e non ai tavoli per non spaventare i clienti con la sua naturale abbronzatura, mi dispiace molto, ma non condivido il tuo concetto di umanità.
In conclusione, ciò in cui credo invece con tutto me stesso è che allorché si aspiri davvero a una società migliore, occorre lottare per diventare cittadini sensibili all’idea che le opportunità e i diritti debbano essere pari per tutti o per nessuno.
Altrimenti, di cosa stiamo parlando?

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