I migranti non passano mai di moda
Storie e Notizie N. 2206
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Nel mio piccolo ne ho scritto in un recente libro sul colonialismo, ma ovviamente non sono stato né il primo e tanto meno l’ultimo: da quando all’inizio degli anni ‘90 il tema dell’immigrazione è entrato con prepotenza nel discorso politico, divenendo sempre più oggetto di confronto giornalistico, semplicemente mediatico e di massa, nel vecchio continente tutto è cambiato. Nella percezione della realtà, più che in essa. Ma ci arrivo, anche se non è nulla di così originale.
Difatti, ciò che a mio modesto parere risulta degno di nota è quanto tale imbroglio puramente propagandistico resista alla prova del tempo. Come dire, alla fine della fiera, ovvero della campagna elettorale, la parola migrante non a caso fa rima con diamante: è per sempre.
Lo spunto per tale riflessione mi viene dall’affermazione alle urne olandesi del leader populista anti-Islam e anti-Unione Europa Geert Wilders e del suo Partito per la libertà (PVV), capace di ottenere il maggior numero di seggi nel parlamento.
Anzi, a dirla tutta, a ispirarmi sono state le reazioni alla suddetta vittoria da parte dei pari grado delle altre coalizioni di estrema destra europee, le quali non fanno altro che confermare le mie osservazioni sull’indubbia capacità di una narrazione xenofoba di restare attuale, quindi vincente, con il trascorrere dei decenni, più che gli anni.
Nel dettaglio, Marine Le Pen ha dichiarato che tale risultato “conferma il crescente attaccamento alla difesa delle identità nazionali”. Mentre lo spagnolo Santiago Abascal di Vox lo identifica come un chiaro segnale del fatto che “sempre più europei chiedono nelle strade e alle urne che le loro nazioni, i loro confini e i loro diritti siano difesi”.
Al coro di interessata approvazione si sono uniti il leader ungherese Viktor Orban, il belga Tom Van Grieken, gli estremisti di Alternativa per la Germania con le parole della co-presidente del partito Alice Weidel e, ovviamente, l’immancabile salitore di carri trionfatori che porta il nome di Matteo Salvini.
Nondimeno, a suo tempo come oggi, a prescindere da ciò che vada ancora di moda o meno, i numeri, ovvero gli indiscutibili fatti, smentiscono nuovamente ogni fondamento di qualsivoglia programma elettorale che metta l’immigrazione tra i temi più urgenti di cui occuparsi.
Ragionando in termini percentuali, nei Paesi Bassi di Wilders solo il 23% degli abitanti ha un background di immigrazione alle spalle, il che comprende anche le seconde generazioni. Stiamo parlando quindi di circa 2 persone su 10.
Nell’Ungheria di Orban si tratta di un 2% di stranieri nel 2022, 2 abitanti su 100.
Nella Francia di Le Pen il terrore viene costruito e venduto sulle spalle di 7 milioni di stranieri su circa 68 milioni di abitanti. Ovvero, il 10,3%, una persona su 10.
Stiamo parlando di una criminale forma di terrorismo politico e mediatico, sociale e culturale, se non s’è ancora capito. Lo dicono e lo ripetono ancora oggi gli inopinabili numeri, giammai gli urlanti slogan, secondo i quali in Spagna ci sono poco più di ottomila stranieri, i quali rappresentano circa il 17% della popolazione, meno di 2 persone su 10, così come in Germania, con il suo 18%.
Ciò nonostante, malgrado in Belgio ci sia un misero uno per cento di immigrati, anche il partito di estrema destra locale ha capito che ci sono delle concrete chance di imitare la vittoria dei vicini olandesi.
Come potrebbe allora il leader della Lega di fronte a un roboante 8,6%, meno di uno straniero su 10, non insistere nel puntare ogni sua fiche su tale succulento bersaglio?
Orsù, camerati, investiamo tutto sulle balle, le fake news e le bestie digitali al servizio del marketing a misura del disinformato di turno, se non inguaribilmente analfabeta funzionale, ma votante. Il tutto all’urlo: a noi, social network!
E poi mi chiedono perché da questi ultimi quattro anni fa ne sono uscito del tutto…
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