La quarta parete dell’informazione
Storie e Notizie N. 2200
Guarda e ascolta il video podcast su Youtube
Ascolta il podcast su Spotify, Apple, Audible, Youtube Music
C’era una volta la quarta parete.
La nostra, ovvero quella di molti da queste parti e in tutti i luoghi dove le grandi vicende che stanno condizionando il presente e in particolare il futuro dell’umanità sono narrate come dei film. Anzi, come delle serie tv simili a quelle che vanno tanto di moda oggi, con le stagioni che sembrano non finire mai, perché a ogni conclusione di puntata – in modo più o meno forzato – salta fuori un colpo di scena per indurre il pubblico a seguire la successiva.
A teatro la quarta parete è quella invisibile che divide il palcoscenico dallo spazio riservato agli spettatori. Di norma risulta inviolabile e inviolata in entrambi i sensi, tranne in alcune specifiche quanto volute occasioni, come per esempio nel mio caso e di tutti coloro che si dedicano al teatro di narrazione.
Nondimeno, quella a cui mi riferisco quest’oggi è di ben altra natura. Perché osservando attentamente la narrazione dell’attualità di questi ultimi anni ho come l’impressione di trovarmi spesso seduto in platea in una sorta di teatro, o meglio cinema, con ben quattro scene intente disperatamente a catturare la mia e la nostra attenzione, con altrettante trame solo in apparenza distinte.
Nella prima vi è il racconto della guerra, o delle guerre, che si fanno sempre più grandi e vicine. È una storia che inquieta e spesso spaventa, che divide perfino quando unisce e ci unisce solo quando si è stancata di dividerci.
Nella seconda vanno in scena i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale, malgrado il più delle volte si utilizzi un protagonista fasullo, di nome “maltempo”. Trattasi di lungometraggio, ovvero serie televisiva come detto, che minaccia un brutto finale, il quale diventa sempre più inevitabile con il susseguirsi degli episodi. Forse è per questo che la maggior parte del pubblico è portato a cambiare canale. O parete.
Nella terza vi è forse la vicenda meno seguita, ma comunque onnipresente. I protagonisti stavolta sono più che reali e si chiamano “migranti”, ma non ci sono i loro veri nomi sui titoli di testa o di coda. Non ci sono mai ed è forse anche per questo che lo spettatore medio reagisce con assoluta indifferenza a prescindere dall’umana tragedia.
E poi c’è la quarta parete.
Quella del rifugio dei più. Talvolta è solo uno specchio in cui trovare riparo dentro se stessi. Nella celebrazione della propria affamata autoreferenzialità. È il regno del web e soprattutto dei social network, del gioco dell’influenza reciproca fine a se stessa, che non è un virus ed è un vero peccato perché potremmo trovarne un antidoto. Difficile farlo quando la malattia siamo noi stessi.
Tuttavia, mi piace pensare – o forse pecco ancora una volta di ingenuità – che potrebbe essere anche una pagina libera e vuota, pronta a offrire vecchie possibilità mai sfruttate e nuove occasioni nate per caso, scelte originali e speranze concrete, malgrado l’assordante resto.
Per questo anche oggi sono qui.
E perché nessuno mi toglie dalla testa che coloro i quali sono al contempo intenti a raccontare le loro grandi storie nelle altre pareti non sono dei veri narratori.
Per scoprirlo è sufficiente abbassare il volume e ascoltare il rumore delle monete che una dopo l’altra riempiono le loro tasche già incredibilmente gonfie…
Leggi, guarda e ascolta altro su giornali, informazione e disinformazione