Quando la tragedia fa notizia

Storie e Notizie N. 2205

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In riferimento all’omicidio di Giulia Cecchettin, vorrei provare a fare un discorso più ampio e generale.
Dall’avvento di internet e, soprattutto dei social network, più che mai da quando la comunicazione sul web avviene attraverso modalità, strumenti e regole che sono sciagurati figli di questi ultimi, allorché un evento particolarmente doloroso diventa virale mi ritrovo diviso a metà.
Al netto di quanto un fatto in sé possa far leva o meno sulla mia personale sensibilità, di cui non intendo affatto parlare proprio per quanto dirò a breve, ci sono delle cose che approvo e che mi sento di condividere. Al contempo, ve ne sono altre che mi danno il voltastomaco e che vorrei vedere stigmatizzate con veemenza, poiché rivelano delle responsabilità paradossalmente complementari alle cause della tragedia stessa.
Ripeto e sottolineo che sto parlando in generale e il fatto che tutto ciò che segue vada sistematicamente in scena sui nostri schermi a prescindere dalla specifica drammatica eventualità, dovrebbe a mio modesto parere far riflettere ulteriormente.
Okay, cominciamo: quando una tragedia fa notizia.
Quando una tragedia fa notizia, all’inizio ne parlano tutti ed è normale. Le prime pagine dei quotidiani sembrano uguali. Le stesse foto, i titoli con le medesime parole e i sommari che riportano gli identici dettagli più o meno scabrosi.
Tuttavia, esattamente da un secondo in poi dalla diffusione della triste novella, altro che buona, ciò che si dice e si scrive con la facoltà di raggiungere un numero più o meno vasto di occhi e orecchie, intelletti e animi, esige delle premure che ritengo sacre.
Se non altro, spettano di diritto alle vittime della tragedia stessa, oltre che a coloro che piangeranno per sempre l’amara disgrazia.
Perciò, quando una tragedia fa notizia trovo giusto ed encomiabile il silenzio. Ma non quello ostentato che tale non è. Intendo il silenzio reale, con le dita rigorosamente lontane dalla tastiera e, tutto ciò che può essere riproducibile di se stessi, altrettanto distante dall’obiettivo di una camera.
Ugualmente, non gradisco chi non riesca a resistere alla tentazione di svuotare cranio e ventre dal fiato in eccesso soltanto perché sono tutti lì a dire la propria. D’altra parte sono gli stessi del giorno precedente e ci saranno anche all’indomani, a commentare l’ennesimo dramma.
Quando una tragedia fa notizia, seppure in un modo incredibilmente infelice, rappresenta sì un’occasione per confrontarsi e ancora prima per riflettere, ma lo scopo è e dovrebbe essere soltanto quello di poter trasformare parole e pensieri in azioni concrete. Banalmente, di quelle capaci di evitare che la famigerata tragedia si ripeta. Di conseguenza, ciò dovrebbe tradursi in aumento di sicurezza e protezione a favore di coloro i quali corrono in questo preciso istante il rischio di diventare vittime a loro volta.
Al contempo, credo che ogni tipo di dichiarazione rilasciata all’indomani della catastrofe che non rappresenti quanto appena detto sia qualcosa di incredibilmente inopportuno, se non peggio.
Mi riferisco a coloro i quali non fanno altro che cercare di sfruttare la tragedia in sé per placare la propria insoddisfabile fame di attenzione, ricordandosi di far parte di una categoria o l’altra unicamente laddove quest’ultima si guadagni la ribalta.
Il problema, ovvero la reale tragedia, è che ciò accade solo quando va in scena quest’ultima. Mentre invece è proprio nel momento in cui i riflettori dei grandi media si spengono e sembra, ripeto, sembra che vada tutto bene che ci si dovrebbe esporre e magari urlare a gran voce. Perché, ahi loro, è esattamente in quell’apparente condizione di pace che le persone più vulnerabili vengono aggredite dalla guerra chiamata umanità.
Invece gli schiamazzi si fanno impetuosi proprio nel momento della morte in differita, giammai in diretta, o un attimo prima, ovvero quando si poteva ancora far qualcosa per evitare il peggio. E in tale frastuono, nel contesto di cui sopra, ormai si può ascoltare di tutto da tutti. Perfino da coloro che con altre parole e ben altri fatti in passato si sono più volte dimostrati gli interlocutori meno degni a esprimersi sull’accaduto.
Eppure li trovi lì, confusi nel resto, a mostrare cordoglio e partecipazione, e addirittura a condannare azioni e comportamenti di cui si sono spesso macchiati loro per primi in precedenza. Perché ci sono tutti, ogni volta, e come già detto molti sono spesso gli stessi. Politici feticisti delle prime pagine e cronisti di cronaca nera o perlomeno sanguinolenta, ma anche attori, cantanti, – mi dispiace dirlo – scrittori, e i soliti antesignani o moderni influencer che donano senso alla propria digitale affermazione soltanto se occupano il punto più visto del gigantesco monitor composto da ciascuno di noi.
E seppure a far notizia sia una tragedia terribile, non è mai quest’ultima ad attirarli tutti, ma solo il fatto che essa sia lì, sotto gli occhi dei più.
Da che mondo è mondo, solo l’idea che si fa azione efficace e coraggiosa, verbale o non verbale che sia, ma a sipario chiuso, salva vite e cambia le cose per davvero.

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