Nel futuro il senso di una morte sul lavoro

Storie e Notizie N. 2213

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Immagina di vivere a Milano.
Sì, proprio a Milano, in Lombardia.
Nel Nord del Paese.
Quello che lavora.
Anzi, no: quello che fatica.
Che risparmia e che mette a frutto ciò che guadagna.
Per eccellere e distinguersi, smarcarsi e auspicabilmente separarsi da tutto ciò che vive a Sud di un’idea, più che un luogo.
Perché le distanze tra gli esseri viventi di un pianeta così piccolo, al cospetto dell’universo che lo ospita, sono e saranno sempre soltanto nella nostra mente.
Immagina perciò di vivere nella città operosa per auto definizione.
Ma non oggi, bensì tra qualche anno.
Quando tutto sarà compiuto, o almeno quanto basta per procedere oltre ciò che è rimasto indietro di detto, scritto e più che mai vivo.
Mettiamo che il caso, o una consapevole direzione, ti porti ad abitare in uno qualsiasi dei 20 appartamenti di una torre residenziale, come le chiamano di questi tempi.
Anche perché grattacielo sarebbe troppo e anche un po’ impreciso, a essere onesti. Per poterlo grattare, o anche solo immaginare di farlo, dovrebbe perlomeno esserci, il cielo. Al punto da guardarlo e riconoscerlo per come viene disegnato a scuola dai bambini.
Ma questo non conta, giacché quel che vale è ciò per cui paghi. E ciò per cui hai lavorato tanto e continuerai a farlo è quello che si trova al riparo di quattro mura possibilmente spesse e inviolabili.
In una parola, casa. Magari al decimo piano, l’ultimo, da dove osservare giustappunto dall’alto tutto ciò che si trovi a Sud di un miraggio, stavolta, più che un’idea.
Mettiamo ora che in questo preciso istante il sottoscritto inizi a darti le coordinate precise di questa breve storia, o sogno travestito da speranza e che aggiunga che la suddetta torre in cui la tua casa è incastonata si trova in via Parravicini, all’incrocio con via Sammartini, non lontano dalla Stazione.
Da cui ne giova il valore dell’immobile, come si suol dire: appartamento ben collegato, esatto, con tutti i vantaggi del caso.
Già, il caso.
Quanto sa essere beffardo e il più delle volte crudele.
Ma oggi vorrei sfruttare questi secondi per scovare il senso meno sgradevole dell’ennesima infelice notizia.
Perché se tu, la tua famiglia o i tuoi compagni di vita, sarai tra coloro che occuperanno ciascuno dei 20 appartamenti del suddetto grattacielo che non può più pretendere di esser tale, devi sapere che molto prima del tuo arrivo nella tua nuova casa, ovvero ieri intorno alle 9 del mattino, un giovane immigrato dall’Egitto, dal nome lungo e complicato come Mohamed Alì Fathi Abdelghani, è morto in un modo terribile schiacciato da una cassaforma di metallo durante l’azione di una gru.
Aveva 28 anni, lavorava qui in Italia da 2, e ha lasciato sole in Egitto una moglie e una figlia di 3 anni.
Be’, 20 appartamenti vuol dire tanta gente, no?
E poi quest’ultima va e viene, quindi il numero nel tempo potrà aumentare.
E magari, rammentandosi di Alì, della sua vita e della sua famiglia distrutte per poter permettere la costruzione della loro casa, forse anche per questo in quella torre abiteranno molte persone che eviteranno di raccontare o anche solo di credere a tutte le balle razziste sugli immigrati che ancora girano oggi…

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