Scambiati alla nascita storia dell’indigeno e del bianco

Storie e Notizie N. 2232

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C’era una volta una di quelle storie che dovrebbe mettere un definitivo punto a ogni discussione sul tema delle fantomatiche “razze”, le quali, in qualche modo assurdo, per alcuni dovrebbero risultare utili a diversificarci, se non addirittura classificarci. E l’aspetto più importante, da cui l’essenza di Storie e Notizie, è che è assolutamente vera.
C’erano una volta quindi due bambini, Eddy Ambrose e Richard Beauvais.
I due vennero alla luce il 28 giugno del 1955 nell’ospedale di Arborg, una città agricola a circa 100 km a nord di Winnipeg, nella contea di Manitoba, in Canada.
Arborg in islandese vuol dire “città del fiume” e non credo sia un caso. Quando ci sono di mezzo le parole sono incline a pensare che non lo è mai. Al netto di ciò che suggerisce la mera semantica, ciascuno di noi è libero di dar loro il senso che vuole. Dal canto mio, una volta scoperta questa vicenda, mi sono detto che il fiume ci sta alla perfezione, le cui acque sono sempre le stesse e scorrono nella medesima direzione a prescindere da quale sia la riva sulla quale ti trovi.
Esattamente come Eddy e Richard, i quali per un errore non così insolito da quelle parti, soprattutto a quei tempi, una volta venuti alla luce furono vittime di uno scambio. Nel dettaglio, le scuse ufficiali ai nostri da parte del governo sono arrivate solo in questi giorni.
Il primo, nato da madre appartenente alla popolazione indigena dei Cree e padre francese, fu affidato alla coppia sbagliata, ovvero  James e Kathleen Ambrose, i quali gestivano una ricca fattoria di bestiame, un negozio e perfino un ufficio postale nella cittadina di Rembrandt. Al contempo, il secondo, nonché il vero figlio di questi ultimi, fu dato agli assai più poveri Camille e Laurette Beauvais, i quali vivevano a soli cento chilometri nella comunità di Saint Laurent.
Da quel momento ciascuno dei due si ritrovò a vivere la vita destinata all’altro.
L’”indigeno” Eddy trascorse la sua infanzia e la sua adolescenza, nonché il resto della sua esistenza perlomeno fino al 2020, identificato come “bianco”, con tutti i vantaggi del caso, ovvero istituzionali e sociali che vigevano nel Canada della metà degli anni Cinquanta.
Nel mentre, il “bianco” Richard, condannato dal destino a impersonare l’”indigeno”  fu costretto ad affrontare l’amaro quanto ingiusto rovescio dell’umana medaglia.
Il suo presunto padre biologico, Camille, morì quando aveva solo tre anni. Di conseguenza, la madre per destino, più che nascita, si ritrovò da sola a crescere Richard e altri sei figli. E di conseguenza, il nostro sperimentò la dura vita di ogni bambino appartenente a una popolazione indigena in gran parte del Nord America.
Ad esempio, per aiutare la mamma a nutrire sorelle e fratellini era uso esplorare le discariche per scovare qualcosa di commestibile. Inoltre, a scuola gli fu impedito di parlare la lingua cree e il francese, ovvero quelle dei suoi presunti genitori. E a circa otto o nove anni divenne una delle migliaia di vittime di un crimine tra i più crudeli di quegli anni, con il quale il governo rimosse con la forza altrettanti bimbi indigeni dalle loro famiglie per metterli in affidamento.
In base al racconto di Richard stesso, gli agenti entrarono in casa e picchiarono la sorella perché non riusciva a smettere di piangere, e poi li caricarono tutti in auto per portarli via.
“Nessuno bianco oltre a me”, pare abbia dichiarato anni dopo, “ha visto come gli indigeni venivano trattati.”
Perché sono stato uno di loro, già.
Ora, si sa come fa il destino. Talvolta si comporta simile al vento. D’improvviso soffia nella direzione inattesa e una carta si scopre, ovvero si muove anche solo di un millimetro e l’intero castello di inutili bugie crolla.
Per la cronaca, nel 2020 Richard per fare un regalo a sua figlia, la quale desiderava sapere qualcosa di più sulle sue origini francesi, si decise a sottoporsi a un test del DNA e tutta la verità venne fuori.
Tutta la verità, nient’altro che quest’ultima, già.
Sulla storia del “bianco” e dell’”indigeno”.
Su tutte le storie di questi ultimi, se ci pensate.
Migliaia di storie vere, piene di parole sopravvalutate e intere vite fraintese.

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