Gli anni rubati e il dono del tempo

Storie e Notizie N. 2248

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“Nulla può compensare gli anni che i talebani hanno rubato alle ragazze e alle donne afghane, compresa me”, ha dichiarato di recente Hasina, una studentessa afghana che come molte altre migliaia è stata costretta a lasciare il suo Paese per andare in Iran e continuare gli studi, peraltro a un costo molto elevato e con enormi sacrifici dei suoi genitori.
Mi dà molto da riflettere tale osservazione, che trovo assolutamente indiscutibile: Nulla può ricambiare il tempo che ci è stato sottratto. Dal destino, per chi ci crede, dal caso, o come spesso accade dai nostri simili. Per i loro interessi o capricci, a causa del loro odio o di semplice follia.
Così, ripenso alla mia vita e a tutti i momenti che non avrò più indietro e mi dico che forse qualcosa si può fare. È ciò che qualcuno ha fatto per me. Non per compensare i vuoti nel passato. Quello, come detto, è impossibile. Ma si può fare qualcosa, ripeto. Si può ricevere qualcosa che può alleviare quell’incancellabile mestizia.
E allora provo ad allargare il campo visivo, come spesso cerco di fare su queste pagine, e mi chiedo chi altri nel mondo tra i nostri contemporanei sia stato vittima del medesimo furto.
Per prima cosa, mi dico che siamo stati derubati un po’ tutti quasi ovunque dal Covid, soprattutto i più giovani. Anche se la decurtazione non è stata uguale per ciascuno di noi a ogni latitudine, come sovente capita quando le sciagure hanno proporzioni globali. Lo facciamo spesso questo errore, non credete? Quando c’è una difficoltà largamente diffusa ci illudiamo che le proporzioni siano identiche per tutti e che chiunque si lamenti per le medesime ragioni, come con il freddo e più che mai il caldo di questi giorni.
Tuttavia, subito dopo come si può non pensare a ogni singolo istante che è stato trafugato dalle vite dei cittadini ucraini, ma anche di quei ragazzi russi che si sono ritrovati costretti a portare morte e dolore a un altro popolo per paura di ritorsioni ai danni delle proprie famiglie, per dirne una.
A questo punto, mi è inevitabile soffermarmi sull’enorme quantità di tempo che è stato strappato via dall’anima nuda, dopo aver fatto lo stesso con le vesti e le carni, di milioni di persone che non smetteranno mai di mettersi in viaggio da un mondo all’altro. Perché qui è la più grande banalità della Storia umana a venire paradossalmente trascurata, ma essa comunque persevera nel ricordarci che chi è ancora vivo vuole continuare a vivere e chi non c’è più soffierà con tutto il fiato che ha nascosto nel cuore ormai fermo per spingere verso l’agognato approdo le vele di chi è rimasto.
Suona altrettanto scontato, ma non meno trascurato, il buco nero di secondi, minuti e anni che incessantemente viene ancora oggi scavato nel calendario di un intero popolo nella striscia di Gaza. Al contempo, sono più che convinto che anche dall’altra parte della barricata l’orologio si sia fermato per tanti e che quando si risveglieranno si renderanno conto troppo tardi delle pagine mancanti.


Infine, mi è inevitabile – e sarebbe davvero una clamorosa svista – pensare alle centinaia di ragazze e ragazzi che da trent’anni incontro nei luoghi di cura. E, mi dispiace dirlo, spesso e volentieri non è il fato o una mera casualità ad averli rapinati della più grande ricchezza che abbiamo, perché questo e solo questo è il nostro tempo.
Sto parlando della droga, ma ovviamente mi riferisco a coloro che da sempre la usano giammai per “farsi”, bensì per il proprio tornaconto. E mi riferisco anche alla società che abbiamo costruito, dove spesso conta infinitamente di più come appari e come ti sai vendere, quanto sai offrire prestazioni all’altezza e soprattutto commerciabili, il tutto a discapito di come sei in realtà. E chi ne paga il prezzo più alto sono le creature dall’involucro più fragile, malgrado all’interno celino straordinarie qualità.
Come detto nell’incipit, questo tempo non si può compensare. Ma, a mio modesto parere, qualcosa si può fare. Ed è donare parte del nostro a chi è stato vittima del furto.
A me è accaduto e se sono ancora qui lo devo a questo regalo.

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