La famiglia occidentale

Storie e Notizie N. 2269

C’era una volta la famiglia occidentale, potrebbe a questo pensare Patience Akumu, mamma ugandese, il cui nome – ovvero pazienza in italiano – in parte la dice già tutta sul mestiere di madre ovunque nel mondo.
Tuttavia, è proprio la nostra porzione di pianeta a essere messa sotto la lente di ingrandimento dalla protagonista di questo racconto. Soprattutto se confrontata con quella delle sue origini.
La scena che risulterebbe perfetta come incipit della storia è la stessa con cui si conclude: Patience è riunita assieme al marito e ai figli, e anche alla nonna, su un divano ad ammirare in tv la famiglia occidentale, giustappunto. Quella delle pubblicità, dei telefilm di una volta o anche di molti film e serie tv di oggi. È un modello che si dimostra facilmente efficace quello del padre e la madre con i pargoli seduti attorno al tavolo a pranzare allegramente nel loro luminoso appartamento. Al sicuro, protetti, tranquilli. Perché soli, già, ma questa arriva dopo. Ovvero, ci è arrivata colei che racconta ciò che ha capito sulla sua pelle di donna e di madre.
Perché una volta arrivata nel Regno Unito a vent’anni, e soprattutto in seguito in Svizzera per realizzare il suo sogno barra miraggio di una famiglia simile a quella venduta dalle idilliache narrazioni che piovono dal cielo, ha scoperto una realtà paradossale che dovrebbe farci riflettere tutti a prescindere dalle premesse relative alla nostra presenza da queste parti.
Patience chiudeva gli occhi, durante il viaggio verso il presunto Eden, e si immaginava giustappunto un mondo in cui tra le altre cose non ci sarebbero più state una lotta continua contro la malaria o altre malattie letali, la fatica per andare avanti e indietro al pozzo con la speranza di trovarvi un’acqua decente, oltre che l’acqua stessa, e tutte le assurde difficoltà del vivere in un luogo dove i servizi primari non sono affatto scontati.
Poi però si è imbattuta in una differenza fondamentale tra ciò che aveva in Uganda e che in Svizzera non esiste, e credo sia così pure da noi e in gran parte dell’occidente. Qualcosa che un tempo invece c’era eccome, perché malgrado non sia Matusalemme, ricordo che quand’ero bambino nel nostro condominio e in tutto il quartiere era proprio così.
Mi riferisco, ovvero è ciò di cui parla Patience, alla famiglia allargata, presente e solidale in ogni istante, che diviene all’improvviso la comunità che vive in prossimità di se stessa qualora una nuova vita venga alla luce.
La testimone diretta di questa significativa esperienza, una volta partorito il nuovo nato nella terra delle opportunità controverse, ha constatato che la sua famiglia finiva sulla soglia di casa. Che nella moderna e civile Svizzera i genitori devono farcela da soli, a meno che non si abbia denaro a sufficienza con cui acquistare i benefici dello Stato.
Così, ha chiuso gli occhi ancora una volta e ha rievocato un frammento del suo passato quando in Uganda le era sufficiente chiamare fuori della porta o dalla finestra e più di un vicino si sarebbe offerto di aiutarla, e che avrebbe risolto ogni problema con uno equo scambio di doni, come io per sdebitarmi mi occuperò del tetto, oppure ti darò parte delle mie uova con cui quest’anno le galline sono state più generose.
In modo simile a come accadeva nel palazzo in cui abitavo da ragazzino, dove ogni appartamento era casa di tutti, nessuno aveva mai avuto bisogno di pagare una babysitter, per dirne una, o uscire per comprare qualcosa per cui sarebbe stato sufficiente bussare alla porta di fronte, e quasi ciascuno, prima o poi, avrebbe fatto qualcosa di utile per la famiglia dell’altro.
Nondimeno, ciò che Patience si è ritrovata a toccare con mano è un ulteriore aspetto nefasto della nostra sopravvalutata società: tutto questo isolamento, aggravato dalle condizioni economiche precarie, ricade sulle spalle delle donne divenute madri.
Sono loro che restano sole più di ogni altra cosa a combattere per tutti.
Come detto, il racconto si conclude come è iniziato, seguendo fedelmente la condivisione di Patience, la quale ha riportato i figli e la sua famiglia in Uganda e ora con il marito fanno la spola tra la Svizzera e il suo Paese. E quando in Africa guardano la tv e osservano la nostra famiglia occidentale sorridono con amarezza perché ora conoscono la verità.

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