Come difendersi dai droni
Storie e Notizie N. 2293
I droni hanno ormai preso possesso delle notizie dei giornali. Viene considerato un successo il loro abbattimento, vedi i 221 droni ucraini neutralizzati dai russi, sono utilizzati in modo a dir poco incosciente per avvicinare ulteriormente la fiamma alla miccia della temuta fase di non ritorno nel conflitto mondiale, come è accaduto di recente in Polonia, sfruttati per un vile atto terroristico ai danni di iniziative del tutto pacifiche come quella della Global Sumud Flotilla, o addirittura esaltati per le loro potenzialità in tema di consegne rapide e precise.
In ogni caso, a quanto si legge, i droni si sono impadroniti dei conflitti per alcune semplici ragioni: costano decisamente di meno rispetto ai tradizionali velivoli da combattimento, hanno un peso altrettanto inferiore e, soprattutto, si dimostrano letalmente efficaci.
Dal punto di vista storico, i primi veicoli senza pilota furono sviluppati in Gran Bretagna e negli Stati Uniti durante la prima guerra mondiale. Il prototipo britannico, un piccolo aereo radiocomandato, fu testato per la prima volta nel marzo del 1917, mentre il modello statunitense in pratica era un siluro, noto come Kettering Bug, e volò per la prima volta nell'ottobre del 1918. Anche se entrambi mostrarono risultati promettenti nei test di volo, nessuno dei due fu utilizzato operativamente durante la guerra.
Considerando l’esponenziale e, a mio modesto parere, in parte inquietante diffusione di tali ordigni e la loro micidiale pericolosità qualora azionati con intenzioni ostili, mi sorge la seguente domanda: come difendersi dai droni? Da cui, il logico quanto interrogativo corollario: come ci si difende da ciò che non si conosce?
Ebbene, facciamo un po’ di chiarezza, a cominciare dalla mia testa: cosa sono i droni? Sono per definizione dei velivoli senza pilota, formalmente noti come veicoli aerei senza equipaggio (dall’acronimo UAV, Unmanned Aerial Vehicle) o anche sistemi di aeromobili senza equipaggio (UAS, Unmanned Aerial System), che possono essere controllati a distanza o volare autonomamente utilizzando piani di volo guidati da software e sensori di bordo.
Ora, aprendo una conversazione più approfondita su come proteggerci, o in generale controllare, gestire e contenere qualsiasi innovazione tecnologica, gli studi universitari e i testi letti nel tempo, suggeriscono – oltre che di acquisire consapevolezza dello strumento in sé – di ragionare sul significato più ampio della funzione che essa svolge. Mi riferisco in particolare all’approccio generale che in molti casi indirizza a vario titolo il progresso tecnico, industriale e ovviamente economico, e in seconda battuta quello sociale, e finanche ideologico e politico.
Alla luce di ciò – divenuta parte quindi di un disegno assai più vasto - ripeto a me stesso la domanda: cosa sono davvero i droni? Ebbene, credo siano in sintesi macchine, come detto nell’incipit, economiche, leggere e mortali che possono essere azionate a distanza tramite un programma informatico da qualcuno che non vedi e che ignori, che a sua volta sarà in grado di arrecare sofferenza o addirittura causare la morte di qualcun altro che al contrario vede e conosce alla perfezione. O anche no, ed è quest’ultimo a mio umile avviso uno degli aspetti più inquietanti. Anche perché, tenendo conto della velocità, e al contempo l’assenza di un effettivo controllo da parte nostra, con cui l’intelligenza artificiale sta occupando sempre più i ruoli che un tempo erano svolti unicamente dagli esseri umani, dovremo aspettarci un domani – o forse è già realtà – nel quale ad azionare il velivolo robot ci sarà un altro robot.
In parole povere, è come se l’umanità stia facendo di tutto pur di eliminare se stessa dall’equazione che regola in ogni campo la sua esistenza.
A tal punto, non posso fare a meno di tornare nuovamente alla domanda iniziale: come difendersi dai droni? Ovvero, in generale, come proteggerci dal ben più grande, controverso e ormai inevitabile orientamento che da decenni hanno scelto l’industria e i governi da essa dipendenti, e che sempre più sta investendo nel sopra citato algoritmo di distruzione disumanizzata?
Credo che non ci sia migliore alternativa che fare la scelta opposta: puntare sempre più sulle persone in carne e ossa. Riempire il nostro fare e possibilmente la nostra quotidianità di interazioni reali nell’accezione tradizionale. Per dirla in modo altrettanto semplice, sforzandoci di riportare a ogni occasione l’umanità all’interno della suddetta equazione.
Mi sbaglierò, ma forse, oltre che la migliore, credo sia l’unica strada che ci resta.