Radicale Normale o Utopia
Storie e Notizie N. 2296
Sono contento di risalire a bordo di questa nave dopo un periodo difficile dal punto di vista della salute, ma ho scoperto l’importanza vitale, in tutti i sensi, di sapere qual è il nemico da combattere nel proprio corpo, dettaglio che ho sempre dato per scontato. E ora, soprattutto per questo, mi sento molto meglio.
Al contempo, trovo delle forti analogie con ciò che sto per scrivere.
Il fatto ispiratore è l’elezione a sindaco di New York di Zohran Mamdani, la quale sta facendo tanto parlare quasi ovunque, soprattutto attraverso gli aggettivi che il nostro porta con sé, tra tutti il sindaco "musulmano" e il sindaco "socialista".
Premetto che questa mia non è affatto un’agiografia del personaggio, peraltro assai anticipata, giacché ancora deve dimostrare quanto promette. Nondimeno, resto sempre colpito dalle altrettanto precoci dichiarazioni altrui. Del resto, trattasi ormai di un meccanismo automatico sulle prime pagine della stampa digitale, che in taluni casi sono diventate una brutta copia delle bacheche dei social. Mi riferisco al sentirsi in dovere in ogni istante di sentenziare su ciascuna notizia e qualsiasi argomento.
Dal canto mio, invece, ho come spesso mi capita tante domande che mi frullano nella testa. E come talvolta mi succede, è il buon Guardian a suscitarmele, in particolare con questo articolo.
Sintetizzando, il mio dubbio principale è il seguente: quando si fa largo sulla scena pubblica un giovane riformatore pervaso da vivace ottimismo e rivoluzionari propositi - peraltro a poco più di duemila anni dalla nascita di uno che di tale speciale categoria ne è forse il più noto dei pionieri - le sue idee sono normali, radicali o del tutto utopiche?
L’articolo di cui sopra suggerisce una serie di paragoni interessanti, dimostrando che alcune delle proposte del neo sindaco, come il trasporto pubblico o l’asilo nido gratuiti, siano definite radicali dai detrattori statunitensi, mentre risultano normali per molte nazioni europee, dove alcune città illuminate le hanno già introdotte più o meno facilmente con notevoli vantaggi.
Ma da noi? L’Italia è ancora in Europa, a quanto mi risulta. O lo storico quanto ingombrante legame con gli USA, che ogni amministrazione eredita dalla fine della Seconda guerra mondiale, ci costringe a reagire all’elezione di Mamdani alla stregua dei più scettici tra gli americani?
Le parole sono importanti, nulla di nuovo, ma nell’era del web si dimostrano tali soprattutto gli aggettivi, dove la comunicazione immediata di matrice pubblicitaria la fa da padrona. I titoli sono gli slogan che restano nella testa, mentre il resto del pezzo che dovrebbe spiegarli, o perlomeno motivarli, passa in secondo piano.
Non so voi, ma in questi giorni, sia lavorando che conversando, ho sentito soprattutto questo dalla gente che ho incontrato: a New York è stato eletto un sindaco musulmano nella maggior parte dei casi, e socialista in seconda battuta.
Votare una persona musulmana e socialista è una scelta radicale? Per lo scrittore Jonathan Safran Foer sembra proprio di sì, visto che intendeva votarlo ma poi non ce l’ha fatta e ha lasciato alle spalle una scheda bianca.
Da noi, invece, per Il Foglio "Milano non sarà mai New York". Perché il programma di Mamdani è troppo radicale, normale o utopico, come lo definisce il giornalista Alan Friedman?
Nel mentre, come era prevedibile, nel mondo politico nostrano gli schieramenti tradizionali sono divisi, con il centro sinistra salito sul carro del vincitore con più o meno entusiasmo e il centro destra al governo sulla scia di Trump, il cui tentativo di demonizzare l’avversario non ha fatto altro che aiutarne l’ascesa, soprattutto tra i più giovani.
Ciò malgrado, vorrei tornare di nuovo al tema che mi intriga di più, anche perché lavoro da trent’anni con i giovani e costoro sono perennemente forieri di idee e proposte che per loro sono assolutamente normali, ma più passa il tempo e altrettanto faccio fatica a condividerle con il medesimo entusiasmo. Mentre il disincanto, o forse il cinismo dell’età, mi porta a identificarle come utopiche, più che radicali. Per mia fortuna sono solo sensazioni iniziali, vibrazioni temporanee dovute alla fragilità dell’ottimismo che aumenta con il decadimento della cervice, oltre che delle membra che la sorreggono.
Se ci rifletto con la giusta calma, considerando lo scenario in cui viviamo oggi e più che mai quello che ci aspetta se non operiamo dei cambiamenti radicali in ogni ambito della nostra vita, sono orientato a dare carta bianca alle generazioni successive alla mia.
Il mondo è sul ciglio di un burrone, o no? Dobbiamo essere d'accordo su questo, oppure diventa difficile dialogare. In caso affermativo, fare delle scelte drastiche non è forse la cosa più normale che ci resta? E per quanto le possibilità di successo siano remote, al punto da sembrare utopiche, le strade che abbiamo percorso fin qui dove ci hanno portato?