Cambiamenti climatici alleati delle guerre e viceversa

Storie e Notizie N. 2299

Un tema che dovrebbe essere prioritariamente al centro di ogni discussione sulla sopravvivenza dell’intero genere umano nei prossimi anni riguarda il nesso tra cambiamenti climatici e conflitti armati.
È ormai evidente che le guerre e i cambiamenti climatici siano indissolubilmente legati. Il cambiamento climatico può aumentare la probabilità di conflitti violenti intensificando la scarsità di risorse e lo spostamento delle popolazioni, mentre il conflitto stesso accelera i danni ambientali.
In altre parole, gli effetti maggiormente disastrosi del mutamento del clima – peraltro causato in prevalenza dall’uomo, ovvero dalle nazioni più ricche e potenti del pianeta – sono nei fatti un alleato di una fazione ai danni dell’altra, o dell’intero conflitto, con conseguenze tragiche per entrambi i popoli in guerra.
Ecco alcuni esempi recenti e attuali:
La tempesta Byron sta colpendo sia Israele che la Palestina, ma mentre la prima possiede i mezzi per contenere i danni, in Cisgiordania e a Gaza gli abitanti si ritrovano vulnerabili e privi di ripari. Al contempo, a infierire con crudeltà, la stessa Israele si impegna a bloccare tende e caravan che potrebbero salvare vite a Gaza.
In Ucraina, mentre la popolazione sta subendo una nuova esacerbazione del conflitto con la Russia, al contempo dovrà affrontare l’ennesimo inverno più freddo dei precedenti. Circa 3,4 milioni di persone sono sfollati interni, con molti che ora vivono in rifugi collettivi che mancano di un'adeguata protezione invernale. In prima linea, le famiglie si trovano in case danneggiate, spesso senza riscaldamento o elettricità affidabili.
Al confine tra Thailandia e Cambogia i due stati hanno ripreso il conflitto, in apparenza incuranti delle rispettive crisi climatiche che ciclicamente si ritrovano ad affrontare le frange più povere e vulnerabili della propria gente. Sia in Thailandia che in Cambogia esiste un problema gigantesco con le alluvioni e dovrebbe essere il primo “nemico” comune da affrontare insieme.
Milioni di persone in Sudan vivono una terribile crisi umanitaria dovuta alla fame e alla carestia causate dalla siccità, ma se tutto ciò non bastasse – ovvero, come detto, l’una alimenta l’altra - circa 13 milioni sono fuggiti dalle loro case a causa di una folle guerra civile.
Assurda correlazione appare simile nel conflitto tra Repubblica Democratica del Congo e Ruanda, con migliaia di morti da entrambe le parti, mentre sia l'una che l'altra allo stesso tempo sono tra le nazioni africane maggiormente inermi dinanzi alla catastrofe climatica.
In tutto il mondo, avviene più o meno la stessa cosa.
Ovunque ci sia un conflitto armato, le parti più fragili e indifese delle popolazioni, oltre a dover sopravvivere ai proiettili, ai razzi e alle bombe, si devono difendere dai violenti scompensi del clima.
Accade in modo sistematico dappertutto. Tra gli altri, anche in Somalia, in Mali, ad Haiti, in Sud Sudan, in Siria e in Birmania.
Il cambiamento climatico rende i più vulnerabili ancora più vulnerabili, ma non esistono popolazioni più esposte di quelle che sono dovuto fuggire dal proprio paese a causa di un conflitto armato e ora subiscono gli effetti di un clima ostile.
La verità è che il clima è la nostra più grande “guerra” e dovrebbe essere l’unica. Anche perché gli impatti del cambiamento climatico possono, a loro volta, non solo esacerbare i conflitti esistenti ma soprattutto causarne di nuovi.
E già sappiamo quali porzioni dell’umanità pagheranno ancora una volta il prezzo più alto dell’ottusità e l’egoismo di una minoranza fortunata…

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