Storie di guerra: Hiroo Onoda ultimo soldato giapponese

Storie e Notizie N. 1041

Nonostante la fine della guerra dichiarata nel 1945, ha continuato a combattere nella giungla sino al 1974…

Mi chiamo Hiroo Onoda e non mi arrendo.
Questo si potrebbe scrivere ora, sulla mia lapide.
Monumento a memoria di una storia che oggi si conclude.
La storia di un soldato.
Di Hiroo Onoda e la sua guerra.

Questo potrebbe esserne il sottotitolo.

Nondimeno, c’è guerra e guerra, e ciò che la contraddistingue sono più che mai le cause. Le reali cause.
Soprattutto contro chi. Il nemico. Quello vero.
Tuttavia, come spesso accade, in ogni storia se ne celano altre.
Invisibili ai più. Tranne che al protagonista.
Sono le gioie e al contempo i dolori del prim’attore. Occupando perennemente il copione, non può azzardarsi a sostenere di non aver visto. Di non aver capito. Perché magari era voltato dall’altra parte.
Sì, certo, capita talvolta che una scelta ci obblighi con tale veemenza a fissare un orizzonte tra i molti che non si possa considerare altro.
Nondimeno, obbedire a un ordine non è e mai sarà una vera scelta.
Casomai, lo è il contrario.
E così, in un cammino inerte, sempre dritto e privo di alcuna svolta, sordo e cieco ad ogni richiamo, onorando una altrettanto alienata promessa di morte, succede che altra storia si dipani ai bordi dello schermo principale.
Un racconto lungo ventinove anni.
Un racconto? Una saga da centinaia di volumi, a dir poco.
Con una miriade di personaggi.
Tra essi, ecco una ragazza nella folla, che si trasforma in compagna di vita.
E un desiderio di carne e sogni, sotto forma di un figlio.
Un progetto che cresce in barba al cinico disincanto degli astanti.
E che magari cambi le cose in meglio. Per tutti, o almeno molti.
Una carrellata di cattive azioni, certo, siamo sempre nell’umana letteratura.
Ma tra le tante, vuoi che non ne scappi una decente?
E se quest’ultima fosse quella giusta?
Come il gesto meraviglioso che rimane, ad esempio.
Oppure, presta attenzione solo a quel capitolo della suddetta saga, quello apparentemente insignificante, melensa appendice alla parte essenziale dell’opera intera.
Gli abbracci.
Tutti gli abbracci in un solo libro, magari corredato da foto.
Ventinove anni, ovvero trecento e quarantotto mesi, di unioni tra corpi in molteplici stili. L’abbraccio distratto e quello convinto, quello appassionato e quello affettuoso, d’eccitazione acceso e al sapor di tregua.
O i baci.
Ventinove anni, trecento e quarantotto mesi, cento ventisettemila e venti giorni di reciproci atterraggi di labbra. E anche in questo caso, con tutto il campionario di significati, unici e irripetibili.
Fai lo stesso con gli scambi di sguardi, le discussioni accese e quelle fugaci. Tutte le volte che si è fatto all’amore. Ciascun istante che riesca a guadagnarsi il proscenio. E quindi un ruolo nella storia.
Quella che non verrà citata negli annali. Ma che da sola si è scritta. Nel frattempo.

Mi chiamo Hiroo Onoda e non mi arrendo.
Queste parole si potrebbero incidere adesso, sulla mia lapide.
Ricordo di un racconto che oggi trova la sua fine.
Il racconto di un soldato.
Di Hiroo Onoda e la sua guerra.
Contro se stesso.
E contro ventinove anni di vita che posso solo immaginare.
Una storia di fantasmi che mi è mancata.
E che mi mancherà per sempre…


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