Auto parlanti dagli USA video storia: cosa dicono
Storie e Notizie N. 1053
Leggo che negli Stati Uniti, per migliorare la sicurezza stradale, stanno progettando automobili in grado di comunicare tra loro in Wi-Fi attraverso una tecnica chiamata vehicle-to-vehicle, in breve V2V, in modo che il conducente di un mezzo venga informato dell’arrivo di un altro anche a 300 metri di distanza.
Si parla del futuro, ovviamente.
Nondimeno, se le auto potessero parlare oggi, cosa direbbero?
Cosa direbbero di noi?
Mattino presto.
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Tangenziale intasata.
E la prima voce si leva dal confuso agglomerato di metallo e fumo.
“Vita breve, sì”, fa lo scooter svicolando tra la macchine incolonnate.
“A cosa ti riferisci?” chiede la moto che lo precede in un convulso zig zag.
“Al tuo mezzo centauro”, risponde il primo.
“Spiegati meglio.”
“Che c’è da spiegare? Se continua a sfrecciare così come in un videogioco vuoi che prima o poi qualcuno non vi apre uno sportello dritto sul grugno? Il tuo, è chiaro.”
La moto fa un gesto visibilmente apotropaico, ovvero si tocca la marmitta.
“E perché mezzo centauro?”
“Perché se insiste in questo modo, altro che metà cavallo e metà uomo. Rimane solo la seconda, di metà, senti a me.”
“Be’, almeno se ne liberaaa…” grida un autobus stracolmo oltrepassato da entrambi.
“Se ti riferisci al pilota, concordo”, osserva con voce vistosamente nasale una piccola utilitaria di fianco. “Io il mio non lo sopporto proprio…”
“Di che ti lamenti?” salta su il mezzo pubblico. “Tu ne potresti avere al massimo… - conta anche i sedili vuoti - cinque, forse sei, con un infante in braccio. Ma lo vedi che massa informe di casi umani mi devo portare dentro la pancia ogni giorno?”
“Sarà come dici tu”, fa la piccola auto per niente impressionata.
“Raffreddata?” chiede il bus.
“Perché?”
“Quando parli pare che hai il tubo di scappamento intasato…”
“No, lo chiudo con la molletta. Te l’ho detto che il tizio che mi guida non lo sopporto.”
“No…” fa l’autobus con tono grave. “Non mi dire.”
“E invece sì.”
“Ritiro tutto, allora. Non che i miei siano dei fiori di campo, ma una flatulenza concentrata in così poco spazio credo sia micidiale.”
“Non sai quanto.”
Un violento clacson interrompe la conversazione.
“Ci diamo una mossa?” grida una scintillante quanto rombante fuoriserie alle spalle dell’utilitaria.
“Dove vuoi che vada?” risponde il bus al posto di quest’ultima. “Non si vede neanche la fine di questa fila.”
“Sì, lo so”, fa il macchinone, “Se fosse per me butterei il motore e passerei il resto dei miei giorni ad arrugginire in un bel box vista mare. Il fatto è che se il tipo qui al volante non trova strada da bruciare si ricorda di quanto ha speso per comprarmi, per poi ritrovarsi imbottigliato con macchinette che costano meno di un mio fanale.”
“Stai sempre meglio di me”, ribatte l’utilitaria.
“Troppo piano?” fa la fuoriserie.
“No”, risponde il bus, “troppa puzza.”
“Come hai ragione”, fa l’altra. “Dannato smog.”
“No, non hai capito…”
In quel mentre si sente un rumore inusitato e tutte le auto si zittiscono, drizzando occhi e orecchie.
Ovvero specchietti retrovisori e frecce.
Un orso sfila sul marciapiede, sebbene lentamente, superando tutti loro.
E l’insolito rumore di cui sopra è prodotto dal cigolio di ruote di plastica.
Che volete farci, il triciclo è usato, ma fa ancora il suo lavoro.
Con estremo piacere, sembra, e nessuna fatica.
Come se sia solo un gioco, viaggiare.
Quindi, nel silenzio generale, l’animale si allontana all’orizzonte.
E identiche parole si levano di commiato al nostro, da ogni macchina presente.
Beato lui.
Nessuno saprà mai a chi dei due si riferissero.