Storie sui diritti umani in Italia: noi e loro

Storie e Notizie N. 1195 

“L'Italia ha sprecato l'opportunità di dare all'Unione europea un indirizzo diverso, basato sul rispetto dei diritti umani, sul contrasto alla discriminazione, e soprattutto su politiche a tema immigrazione che dessero priorità a salvare le vite umane.“
Queste parole sono del direttore generale di Amnesty Italia, che accompagnano la pubblicazione del consueto rapporto annuale in fatto di diritti umani, che quest’anno risulta addirittura più severo di quello precedente.
E’ il solito problema di noi.
E loro…

C’era una volta il paese dei noi.

Il paese dei noi era abitato da persone i cui nomi erano semplici da pronunciare.
Io, te, me stesso, tu, ancora io, sempre te, ma allora io?, e perché tu?, e così via.
Al di fuori del paese dei noi, vivevano loro.
Loro avevano nomi meno semplici da pronunciare.
Almeno secondo noi.
Lui, lei, l’altro, l’altra, tutti gli altri, quelli, quello là, quell’altra, questi qua, ma perché non se ne stanno a casa loro, ecc.
Ora, si da il caso che molti tra gli abitanti del paese dei noi non vedessero di buon occhio loro.
Le ragioni sono molteplici e non staremo qui a narrarle.
Non basterebbe un singolo racconto per cambiare le cose.
Per quanto scritto con parole facili.
Chiaro e diretto.
Da leggere in pochi minuti.
Altrimenti, tutti quelli che sapessero leggere troverebbero aria sufficiente nella cervice per permettere al cuore di entrare.
E respirarvi.
Mi soffermerò solo su una di esse.
Si da il caso che i noi temessero che loro potessero defraudarli di qualcosa.
Qualsiasi cosa, anche la più improbabile, come ad esempio il futuro.
Ovvero, ciò che non esiste ancora.
Tuttavia, a causa del delirante suggerimento di qualche decerebrato imbonitore, ascoltato con attenzione sulla pubblica piazza solo perché capace di urlare con maggior vigore, gli abitanti del paese dei noi si erano convinti che il modo migliore per impedire a loro di derubarli fosse privarsi da soli del meglio che avessero.
Come se un fiore si liberasse del polline per impedire alle api di raccoglierlo.
Peggio, come se la terra stessa facesse marcire i propri frutti negandoli alle creature viventi.
Come se l’intera danza si riducesse ad un dare e prendere, ignorandone il prosieguo che dall’inizio del mondo vede nel passo seguente l’esatto scambio dei ruoli.
Ridare quel che si è preso.
E allora capitò di tutto, nel regno dei noi.
C’era chi si privò dell’amore e chi della fantasia, chi del senso dell’humor e chi della comprensione.
C’era chi rinunciò ad avere voce in capitolo e addirittura chi si dimenticò del tutto di averla, una voce.
Ci fu perfino chi eliminò dalla propria esistenza la via che ti porta su un’altra, di via.
No, dico, ve lo immaginate che rottura di scatole vedere un solo orizzonte sino alla morte?
Ciascuno troncò parte di sé tra le più degne di esserci, ma la maggioranza concordò nell’affrancarsi da incalcolabili privilegi dono del passato.
Un regalo confezionato al prezzo di sogni e sangue, per amore dei noi nel futuro.
I diritti.
Fu la privazione che funzionò meglio.
Perlomeno all’istante.
Via il diritto al cibo e via il diritto ad un riparo da pioggia e freddo, via il diritto alla cura e via il diritto all’accoglienza.
Via, insomma, il diritto ad esistere e divenne più facile.
Anzi, da facile divenne naturale.
Ignorare, violentare, torturare, discriminare, sacrificare, calpestare, sfruttare.
Loro.
Il problema, però, è che a forza di togliere a mani basse molti tra gli abitanti non riuscivano più a rammentarsi cosa volesse dire essere io.
Fu così che tanti tra gli io si convinsero di essere perlomeno noi.
E tutti gli altri divennero ignorabili, calpestabili, sfruttabili, torturabili, violentabili.
Perché tutti gli altri che non fossero io erano diventati loro.


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