Facciamo un passo indietro

Storie e Notizie N. 1614

Avanti.
Avanti, non fermarsi, andare avanti.
Questo, dicono, sia il cammino dell’uomo.
A essere precisi, del capofila con l’iniziale maiuscola nel nome, come nell’orgoglio.
Più che mai nell’interesse immediato e, soprattutto, investibile nella borsa della più disincantata concretezza.
Perché l’incanto, in quanto tale, è bandito.
Figuriamoci laddove sia solo un pretesto per mostrare l’egoistico inganno celato dietro il cartellone pubblicitario che si è mangiato il cielo.
Indi per cui, avanti, insiste urlando a gran voce il marketing sovrano. Camminate, anzi, correte senza voltarvi a osservare quel che resti indietro, tantomeno dove poggiare piede e arroganza.
Di conseguenza, nel subliminale sottinteso all’assordante monito c’è altresì scritto di continuare a imporre al mondo le fondamenta del nostro vivere caotico.


Di non prestare orecchio e coscienza al naturale avvertimento neppure qualora la bolla di sapone ormai marcito esploda con doloroso fragore.
Trattasi di tragiche casualità accettabili nel computo finale, recitano le avvertenze in piccolo.
Oltretutto, intona lo spot tra un evitabile lutto e l’altro, non vale la pena rischiare passato e futuro per l’illusione di un eterno, paradisiaco presente?
Dite di no? Allora, siete proprio bendati, spiega la folle TV sempre accesa nella nostra testa, ovvero, ci vedete davvero, e laddove il vero signore possieda almeno un occhio in mezzo ai ciechi, colui che avesse l’ardire di aprirli entrambi è il solito vecchio nemico, perché non farà altro che rovinare l’esclusiva festa.
Ecco perché certa gente non viene invitata alla medesima, sia che si svolga nei palazzi dell’opulenza, che in quelli dove si decidono i destini del pianeta.
Sono emarginati i loro canti e le loro storie, fortemente consigliate le spalle di fronte ai loro ingenui esempi, nonché la protezione di testa e cuore dalle loro parole, qualora alimentate dall’azione.

Il loro è un dio pericoloso, con l’iniziale minuscola nel nome come in ogni verso della preghiera dedicata, mentre il popolo da quest’ultimo eletto è quello che a sua volta ha scelto la terra.
A differenza della generazione digitale, non si fregia di essere il movimento dove uno vale uno, ovvero la gente che è arrabbiata, è stanca e non ne può più.
Al contrario, è composto da creature in grado di celebrare unità e ideali senza muoversi affatto, rimanendo ferme innanzi alla folle corsa verso il baratro.
Giammai uno, ma tutti valgono tutti, senza esclusione alcuna e, soprattutto, evitando che qualcuno si senta più uno degli altri.
Inoltre, più di ogni altra cosa, non è un’orda di persone possedute da ottusa collera, bensì un’enorme famiglia pervasa da gioiosa indignazione.
Non v’è stanchezza nell’anima, ma inarrestabile amore, tipico di chi ne vorrebbe anche di più.
D’amore.
Il loro peccato è mortale per i padroni dell’oggi, più che per loro stessi.
Mina i confini della formale sacralità semplicemente abbattendoli.
Innalza templi dall’alto verso il basso.
E, sacrilegio tra i sacrilegi, fa propria la varietà delle cose vive, osando ritenersi parte armonica tra esse.
Con l’utopico convincimento di essere qualcosa di più che semplici tessere di un domino umano, tutte uguali, tutte in fila, con il solo compito di spingerci l’una contro l’altra e cadere, in silenzio.
Il sogno è questo, e ha la forma di una ineludibile richiesta che verrà inviata ovunque senza tema e tantomeno fine.
Basta andare avanti.
Solleviamo lo stivale che calpesta il dono.
Allontaniamo l’avido artiglio da ciò che resta del prezioso raccolto.
Priviamo l’orizzonte della nostra prepotente ombra.
E, insieme, tutti.
Per la salvezza di tutto.
Facciamo un passo indietro...


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