Il mondo attraverso il mondo

Storie e Notizie N. 1676

C’era una volta il mondo.
Il mondo come ce l’avevano descritto da piccoli, quando tutto ciò che vedevamo con i nostri minuscoli occhi era già infinito di suo, figuriamoci quel che ancora ignoravamo e su cui fantasticavamo.
Poi le cose sono mutate. Dicono sia l’età che ci cambi. Io credo siano gli altri, più che il tempo. Giammai il meccanico giro delle lancette incide sulla nostra storia. Sono le vite che ci scorrono accanto in modo inaspettato, a tratti illogico e spesso violento, ma alcune volte capaci di incalcolabile tenerezza, a influenzare il futuro che ci attende, secondo dopo secondo.
Uno degli aspetti più determinanti riguardo alle scelte e i pensieri, i sentimenti sui quali puntare il cuore, laddove si faccia ardito, e quali emozioni tenere alla larga dall’intelletto, qualora quest’ultimo si dimostri pavido, è lo schermo attraverso cui osserviamo il mondo.
Non è sempre lo stesso e probabilmente è giusto così. Ogni sguardo, in ciascun capitolo della nostra vicenda personale, necessita del filtro adatto. I metaforici occhiali per guardare al meglio, qui e ora, si scelgono alla ricerca dell’immagine che ci incuriosisca, certo, che sia capace di farci riflettere, sicuro, ma ciò che le nostre pupille non smetteranno di bramare con assoluta priorità sono le trame in grado di donarci sollievo dalle pene accumulate sin dal primo vagito. Dal tenue dolore del ginocchio appena sbucciato a quello atroce del lutto improvviso.
Tutto ciò si potrebbe sintetizzare nel mondo attraverso il quale osserviamo il mondo.




Suscita compassione, in un attimo di consapevole lucidità, il pensiero che negli angoli più privilegiati del pianeta, da dove scrivo queste mie parole, si prediliga contemplare la vita oltre la nostra attraverso un monitor, a prescindere dalla risoluzione e dal numero di pollici.

Perché c’è stato un tempo, che non possiamo


dimenticare, durante il quale vedevamo tutto a occhio vivo, ancor prima che libero e ovviamente nudo.
E perché un numero enorme di nostri simili sulla terra, per caso o per sfortuna, talvolta per nostra ignara responsabilità, sono costretti a scrutare ciò che li circonda attraverso ben altre finestre.


Come le linee che intrecciate l’una con l’altra


compongono una cella, malgrado i prigioneri siano colpevoli di nulla tranne la sopravvivenza.



Come il fumo del fuoco che brucia e distrugge, frammento dopo frammento, il sogno perfetto di un pianeta ingenuo.
 

Come l’acqua del mare che in modo innaturale,

ma dovremmo dire disumano, si sostituisce al cielo e quest’ultimo viene cancellato dal racconto, come se non fosse mai esistito.
E forse sarebbe stato meglio.
 


Come una coltre di polvere che sa di povertà, miseria ma ancora speranza, in cui bisognerebbe avere l’onestà di entrare, prima di sparlare di chi ci vive, o peggio, ci è nato.
 

Come lo spazio al di sopra di un muro, insieme

alle vitali crepe e i preziosi pertugi in esso, che ne denunciano la debolezza e, auspicabilmente, la follia.
 


Come le lacrime, ma non quelle temporanee, che vanno e vengono alla stregua delle stagioni della pioggia, bensì un velo perenne di irrinunciabile mestizia. Poiché per taluni ricordare vuol dire avere rispetto per il dolore, affinché i posteri conservino intatti entrambi.
E così via guardando.
 

Ciò nonostante, grazie al dono o l’inganno della magia chiamata tecnologia, da queste parti possiamo avere la sensazione di rimirare tutto ciò anche al di qua di un comodo e rassicurante schermo trasparente.
Male non fa, in effetti.
Ma una volta spento l’incantesimo, dovremmo rammentare che quel mondo attraverso il mondo è davvero là fuori, a vivere o morire, a struggere o gioire, con il cuore a mille innanzi al pericolo imminente o con le braccia al cielo di fronte alla manna chiamata acqua fresca e pulita.
Forse, ogni tanto, dovremmo trovare l’occasione di affidarci soltanto a loro.
I nostri semplici occhi di un tempo.
E vedere di nuovo il mondo attraverso loro.


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