Il sogno di Kais Saied
Storie e Notizie N. 2121
C’era una volta un sogno.
Che sogno non è, sai?
Ma hai voglia a raccontarlo, a voce o via penna, digitale o meno.
In molti continueranno a farlo e a spacciarlo come tale, anche nei luoghi più inaspettati – da ciò questa mia – perché va in scena nell’inconscio delle persone e per raggiungerlo, sfiorarlo e magari sfidarlo occorre che si faccia la strada entrambi nei rispettivi sensi.
Da un lato, l’altro, occorrerebbe svegliarsi, e non è roba facile. Ma il dramma è quando a sognare è l’uomo più in alto, il quale di solito si arroga il presunto diritto di rovesciare il tutto sulle genti che da lui dipendono.
Quale sogno?
Ma che domande, è il più condiviso e controverso da decenni in larga parte del mondo, direi, nonostante sia comunque difficile parlarne con franchezza. Perché è come un film che vedono tutti ma nessuno desidera recensire per intero, perché altrimenti dovresti citare anche immagini come questa, e a nessuno piace l’idea di essere visto per lo schifo che ha dentro con tale precisione dei dettagli.
Allora, tra i fan, ciascuno loda una scena o l’altra, ma insieme non smettono mai di pompare la pellicola. È storia che vende, è sogno che convince.
Straordinariamente oltre ogni misura ragionevole.
A riprova di ciò, vi è la recente versione tunisina a superare il limite del grottesco, l’ultimo rimasto.
Mi riferisco al delirio xenofobo del presidente Kaïs Saïed nel suo recente discorso, ovvero il suo sogno: “L'obiettivo non dichiarato delle successive ondate di immigrazione clandestina è quello di considerare la Tunisia un paese prettamente africano…”
Tali parole hanno scatenato per fortuna proteste e manifestazioni, ma hanno anche ottenuto sostegno da alcune frange del popolo e provocato aggressioni ai danni delle persone migranti nel paese, soprattutto di carnagione nera, più facilmente identificabili come straniere.
Come a dire, c’è sempre qualcuno più scuro di te con cui prendertela e scaricare ogni problema.
È la lezione appresa grazie al successo delle destre in Europa e nelle Americhe, ovunque, che ha permesso di conquistare porzioni votanti, più che maggioritarie, della popolazione, a cui più o meno inconsapevolmente fa comodo avere un capro espiatorio su cui rivalersi.
Il sonno della ragione genera mostri, recita il titolo della celebre opera di Goya, ovvero imitatori a mio modesto parere, che non fanno altro che sottolineare ulteriormente quanto la visione iniziale fosse orribile e illogica.
Ci mancava pure la nazione non prettamente africana contro le nazioni prettamente tali…
C’era una volta un sogno, quindi.
Che sogno non è, questo è ovvio.
È banalmente un incubo, ma che vivono solo alcuni, mentre tutti gli altri lo guardano come un film. E io per oggi sono stanco e disgustato, scusate, ora mi alzo, abbandono metaforicamente la sala e me ne torno a casa.
A cercare di tenere accesa la flebile speranza di vivere, vedere o anche solo sognare un finale diverso prima o poi.
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