L’ultima rosa bianca

Storie e Notizie N. 2123

L’ultima componente del Movimento di resistenza al Nazismo chiamato la Rosa bianca ci ha lasciato.
Il 6 marzo scorso, all’età di 103 anni, Traute Lafrenz è morta.
Lascia figli e nipoti alle spalle, ma non solo.
C’è Storia che vale la pena di leggere e come al solito ci sono storie su cui riflettere.
Ebbero straordinario significato allora e, mi sbaglierò, ne hanno ancora infinitamente pure oggi.
Perché al di là delle grandi date e i rispettivi cruciali avvenimenti del passato, il quale non passa mai sino in fondo, le pagine che possono ancora alimentare coraggio e coscienza civile sono piene di vita quotidiana, di gesti in apparenza normali, che possono fare la differenza anche oggi.
Cito ed elenco a braccio, seppur basandomi sulla biografia della nostra.
Un ragazza di 14 anni che non accetta che il suo governo decida in sua vece cosa deve studiare e con chi, e fa di tutto pur di colmare per altre vie i vuoti della mente e dello spirito. Nei modi e attingendo alle fonti che lei stessa ha scelto.
Una giovane che appena diciottenne, in un tempo e un luogo in cui uno dei mostri più terrificanti che l’uomo abbia potuto non solo immaginare ma perfino mettere in pratica la fa da padrone, si alza in piedi dal posto in cui si trova e sceglie di nuovo di sedersi nella zona più pericolosa della platea. Ma che dico? Sale sul palco, non resta a guardare e non si nasconde.
Non si limita a pigiare un tasto o a ritoccare una foto per renderla impegnata, per capirci. Non avrebbe potuto, d’accordo, ma non l’avrebbe comunque fatto, perché vi erano altri modi per evitare i conflitti. Ci sono sempre.
A poco più di vent’anni è in strada a diffondere discorsi che il tiranno teme, come tante prima di lei e altre in futuro. Perché questo fanno spesso le anime impavide, una cosa semplice e trascurata nonostante i regni cadano e i cattivi sovrani vengano disarcionati: soffiano sulle parole buone sino a perdere il fiato avendo fede che ne basterà solo una per nutrire il campo e far germogliare la nuova pianta, più forte della precedente.
Sì, sto parlando ancora di fiori, già.
Dell’ultimo, certo, ma ce ne saranno altri, lo so.
Non ha smesso di crederci la nostra, quando a 24 anni si ritrova praticamente da sola a piangere gli amici e compagni di sogni di libertà trucidati barbaramente in cella.
È un rito funebre amaro che la mette ulteriormente a rischio, ma anche nel momento del dolore sceglie di farsi testimone vivente.
Ne pagherà lo scotto con il carcere più volte e il cielo, o chi per lui, sa cosa ha dovuto sopportare in quei momenti per sopravvivere.
E poi un giorno la seconda grande guerra è finita.
Tuttavia, il senso di una lotta quotidiana contro un nemico che si riforma da solo come un virus immortale a prescindere da quante targhe, monumenti o celebrazioni tu possa mettere tra te e lui, ha ancora bisogno di acqua.
Come un fiore, esatto.
Come una rosa.
Come l’ultima, e quelle che seguiranno.

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