La guerra globale contro lo stato di diritto
Storie e Notizie N. 2268
C’era una volta lo Stato di diritto, il quale esige tra le altre cose che ogni azione da parte dello Stato inteso come governo sia sempre in accordo alle leggi vigenti.
Al contempo, c’era una volta la guerra contro tale fondamentale pietra d’angolo democratica.
Nel passato è stata puntualmente un’immancabile prerogativa dei leader dittatoriali quella di aggredire in ogni modo possibile i responsabili dell’ordinamento giuridico.
Secondo uno studio di Susan R. Blackman, esaminando il rapido declino della Germania dalla democrazia alla dittatura negli anni '30, si evince un esempio perfetto di come avvocati e giudici potessero fare la differenza durante i periodi difficili adempiendo al loro dovere di sostenere lo stato di diritto. Di conseguenza, Hitler lo capì e si concentrò su avvocati e giudici come potenziali ostacoli alla sua ricerca di un potere senza limiti.
Nella vecchia URSS, Stalin trattava il diritto penale in modo chiaramente strumentale, come una risorsa politica che non richiedeva il consenso del pubblico o dei funzionari incaricati dell'attuazione della legge. Allo stesso tempo, il lavoro di investigatori, procuratori e giudici era subordinato ai leader politici a tutti i livelli della gerarchia amministrativa e soggetti alla loro direzione. I tratti fondamentali della giustizia penale sovietica erano già presenti sotto Lenin, prima che la politica di Stalin e la politica stalinista avesse lasciato il segno. I leader bolscevichi modellarono la legge penale sovietica per soddisfare la loro visione e adattarla per riflettere i loro bisogni immediati.
Ovviamente, come scrive il politologo Robert Paxton, sotto il Fascismo e la dittatura di Mussolini in Italia la giustizia, l'equità e il giusto processo di diritto, scomparvero insieme allo Stato di diritto.
Dalla fine della Seconda guerra mondiale e con la nascita o l’ulteriore sviluppo delle cosiddette grandi democrazie occidentali e non, il conflitto tra potere politico e giudiziario assume man mano sfumature meno visibili e proprio per questo, a mio modesto parere, maggiormente allarmanti. L’azione di indebolimento dello stato di diritto da parte dei leader di turno con vocazioni autoritarie diviene solo in apparenza meno violenta.
Nell'aprile del 1970, il deputato Gerald Ford – su richiesta del presidente Nixon - chiese l'impeachment del giudice William O. Douglas, accusato dai democratici del sud contrari ai diritti civili di condotta non professionale. Ford sostenne che il giudice Douglas era diventato una minaccia per la sicurezza nazionale. Entro due settimane dalle accuse di Ford, le forze militari degli Stati Uniti invasero la Cambogia senza l'espresso consenso del Congresso. L’intento di Nixon, oltre a quello di progettare la "strategia del sud", portando i democratici del sud conservatori nel partito repubblicano, era cercare di rimodellare la magistratura a suo vantaggio.
Con l’avvento di un populismo in versione moderna, i leader più autoritari, attaccando l’indipendenza della magistratura in tutto il mondo stanno minando gli aspetti fondamentali della democrazia e della società civile.
L’ex premier britannico Boris Johnson derideva gli avvocati considerati ostili ai suoi obiettivi e li definiva “avvocati di sinistra per i diritti umani e altri buonisti”.
La Corte Costituzionale polacca ha recentemente stabilito che la Costituzione polacca prevale se è incompatibile con il diritto dell’Unione Europea.
Un altro Stato dell'Unione europea ha un problema simile ed è l’Ungheria. Nel 2020 Andros Varga è stato eletto a capo della Corte Suprema ungherese dal parlamento del paese, nonostante la forte opposizione dell’organo di autogoverno dei giudici, il Consiglio giudiziario nazionale, che era preoccupato, tra l’altro, della sua mancanza di esperienza giudiziaria.
Come non ricordare i tentativi del presidente brasiliano Jair Bolsonaro di minare la legittimità dei singoli giudici e dei tribunali elettorali in vista delle elezioni dell’ottobre 2022.
Ma il modello più clamoroso è quello del presidente "pregiudicato" Donald Trump, con i suoi costanti attacchi all’FBI, alla magistratura e ai lavoratori elettorali. Quando i cittadini iniziano a credere a questa narrazione, si possono avere conseguenze pericolose.
E l’Italia?
In generale, studiando le transizioni alla democrazia dei decenni passati, numerose ricerche hanno mostrato come il raggiungimento effettivo dell’indipendenza dei giudici sia la prima condizione essenziale per avere una democrazia compiuta.
Dopo il Fascismo, nei primi anni Cinquanta del secolo scorso, i giudici, reclutati durante il Ventennio perseguivano reati contro l’ordine costituito, che spesso riguardavano gli ex-partigiani di sinistra, mentre le indagini erano prevalentemente fatte dalla Polizia, alle dipendenze – come ora – del Ministero dell’Interno.
Un netto ricambio generazionale, con i famosi pretori d’assalto, avviene versi i primi anni Settanta. In seguito, la riforma del Codice di procedura penale alla fine degli anni Ottanta dà ai pm la responsabilità e l’iniziativa delle indagini in un contesto in cui il finanziamento illecito dei partiti, anche grazie a un ampio settore pubblico, era la regola non detta.
Dai primi anni Novanta in poi, con Berlusconi – i cui attacchi ai giudici hanno fatto Storia, oltre che giurisprudenza - e altri leader politici di tutti gli schieramenti, si tenta di ristabilire un "equilibrio" che dia maggiore controllo ai leader politici sulle indagini dei magistrati inquirenti. Da qui nasce un braccio di ferro, protratto per decenni.
Nel mentre, l’assalto globale alla giustizia è più che mai in corso.
Nel 2023, il governo di Benjamin Netanyahu introdusse le cosiddette riforme giudiziarie che avrebbero dato ai politici il potere di nominare giudici e limitare la capacità dei giudici di abbattere le leggi. Le proposte hanno portato a proteste su larga scala per tutto il 2023, ma il conflitto a Gaza ha messo temporaneamente in attesa il dibattito.
Nel frattempo, in Messico, il 15 settembre 2024, il presidente uscente, Andrés Manuel Lopez Obrador, ha firmato riforme giudiziarie, che, sebbene diverse da quelle del governo Netanyahu, sono potenzialmente altrettanto rischiose per l’integrità della magistratura.
Gli autocrati eletti hanno una vasta gamma di strumenti disponibili per assaltare e minare i tribunali.
Gli aspiranti autocrati possono anche creare tribunali del tutto nuovi o gerarchie giudiziarie per sovvertire l'indipendenza delle istituzioni esistenti. Questa è stata una delle tante strategie utilizzate da Victor Orbàn in Ungheria nel 2018, quando ha creato un sistema giudiziario amministrativo separato che ha permesso al ramo esecutivo di controllare la selezione dei giudici.
Come presumo sia evidente, ciò che sta accadendo in questi ultimi anni nel nostro Paese, con una crescente aggressione nei confronti della magistratura da parte dell’esecutivo attuale, fino alla recente indagine di cui dovrà rispondere Giorgia Meloni e alla quale ha reagito in modo coerente con quanto qui riassunto, non è nulla di nuovo e, soprattutto, è parte di un fenomeno mondiale che dovrebbe preoccupare e spingere a un’azione di resistenza civile e attiva chiunque abbia a cuore la democrazia.