Il mondo di oggi e domani raccontato ai ragazzi
Storie e Notizie N. 2291
Una sola fiaba per raccontarle tutte
C’era una volta una nave.
Una barca enorme, grande come un continente e anche di più, vecchia e lenta, resa tale dall’enorme quantità di persone, perlopiù affollate in plancia.
“Terra” c’era scritto sulla fiancata a caratteri altrettanto imponenti e sbiaditi, incisi per mano degli armatori stessi, la cui dicitura campeggiava subito sotto: “Umanità”.
Non dall’aggettivo “umano”, semmai significhi ancora qualcosa, solo il sostantivo. Ma che dico? L’affermazione tracotante, la sciagura per tutte le creature viventi, la zavorra del pianeta stesso, il cui nome era stato sottratto dagli usurpatori al comando dell’imbarcazione.
Già, “il comando”, il controllo della rotta, il potere di decidere l’orizzonte e al contempo il destino dei più.
Ebbene, malgrado “la democrazia” fosse la più grande conquista dei passeggeri, ciò che sviliva tale indubbiamente civile pratica per individuare i profili più adatti ad avere in mano il timone, le scelte oramai si orientavano sempre più verso il seguente tipo di leader: un cialtrone, vecchio e volgare, maschilista e cinico, insensibile e incosciente, egoista e ignorante, e ancor di più, anzi di peggio che si potesse immaginare.
L’aspetto più sorprendente di tale decisione è che l’equipaggio aveva già avuto in varie occasioni indubbia riprova che tale tipologia di individuo fosse un pericolo per tutti, ma ciò nonostante prima o poi ne ritrovavi sul ponte un esemplare perfino peggiore del precedente a dettare legge.
Ora, la nave aveva già i suoi problemi urgenti da risolvere. Essendo decrepita, cadeva a pezzi e si aprivano falle ovunque nella stiva, in quantità sempre più ingenti. A pagarne le spese erano “quelli di sotto”, gli umani ritenuti di classe inferiore, i rematori, i mozzi e tutti coloro che letteralmente facevano sì che la nave potesse restare a galla, oltre che muoversi.
Nel mentre il mare si faceva sempre più agitato e inquinato e il clima era a dir poco schizofrenico, passando da una tempesta feroce a una calma piatta da un giorno all’altro, così come temperature glaciali si intervallavano con un caldo torrido in modo inaspettato.
Al contempo, gli ufficiali di bordo, “quelli con la divisa” e soprattutto “quelli con i documenti e i biglietti in ordine” se ne stavano assiepati come sardine attorno al ponte ad abbuffarsi e ingrassare, mentre il capitano troneggiava e blaterava ai gabbiani che a loro volta gli ridevano in faccia, arringava i presenti inebriati dalle sue fandonie e poi se ne tornava in cabina, l’unica dotata di tutti i comfort.
Eppure, malgrado tale infernale scenario, galleggiavano accanto alla nave “quelli in acqua”, centinaia di migliaia di persone che a rischio di affogare si avvicinavano nuotando e implorando di poter essere tratte a bordo, a evidente dimostrazione che da dove provenivano ci fosse qualcosa di addirittura peggiore. Di tutta risposta, il capitano aveva ordinato ai soldati, “quelli con le armi”, di sparare sui disgraziati per tenerli lontani.
Con il passare del tempo la situazione si faceva sempre più insostenibile. Il caldo e il freddo mietevano vittime, il cibo e soprattutto l’acqua scarseggiavano, e “quelli di sotto” ne pagavano il prezzo più alto. Così, cominciarono a protestare e a salire di sopra per reclamare condizioni di vita più dignitose. Di tutta risposa, “quelli con i documenti e i biglietti in ordine” esortavano “quelli in divisa” a fare qualcosa, questi ultimi si rivolgevano al capitano e costui sistematicamente incaricava “quelli con le armi” di fare ciò avevano dimostrato di saper fare meglio: sparare. E così, con fucili e pistole, letteralmente tra due fuochi, mettevano a tacere sia “quelli di sotto” che “quelli in mare”, sterminandone a più non posso.
Tuttavia, per continuare a mantenere tale folle equilibrio, occorrevano sempre più proiettili, e allora il capitano propose di concentrare ogni sforzo della nave nella produzione di munizioni, tralasciando tutto il resto.
Proiettili su proiettili venivano stipati ovunque, a discapito di medicine, viveri e perfino acqua, fatto salvo della scorta del capitano stesso e degli ufficiali di alto grado, oltre a “quelli con i documenti in ordine, il biglietto e soprattutto grandi agganci o crediti con i piani alti”.
In tal modo, “quelli di sotto” erano sempre di meno e la nave ulteriormente lenta e malridotta, il clima diventava ancor più pazzo e violento, ma ciò malgrado “quelli in mare” che chiedevano aiuto aumentavano inesorabilmente a vista d’occhio.
Finché l’irreparabile accadde: la nave si ruppe in migliaia di pezzi sotto il peso dei proiettili e di quelli in divisa, con i documenti in ordine e i biglietti, gli unici a essere ingrassati nonostante la situazione. Ma il più obeso di tutti era il capitano stesso, il quale raggiunse il fondo del mare e produsse un tonfo colossale come se fosse l’ancora più pesante al mondo.
Fu la fine della nave chiamata Terra e dell’Umanità che l’aveva costruita e dominata, ma non del pianeta e delle creature che a quest’ultimo si sentivano di appartenere.
Difatti, i frammenti della nave si sparsero sulla superficie dell’acqua. Erano tantissimi e quei poveretti che erano in mare li afferrarono per restare a galla. Erano affamati ma leggeri e dandosi una mano l’uno con l’altro riuscirono a formare una gigantesca “zattera umana”. Alcuni aiutarono “quelli di sotto” che erano sopravvissuti. «Voi siete nostri fratelli» dissero loro, e una nuova nave apparve sulla superficie del mare.
Giammai “Terra”, perché così si chiamava la mamma di ciascuno, e solo uno stupido potrebbe pensare di appropriarsi impunemente del nome della propria madre.
Fu ribattezzata semplicemente “la nave di tutti”.
Mentre per quanto riguarda il nome con cui definire tale nuova generazione, se ne scelse uno che fosse tenuto a mente nel presente ma più che mai nel futuro, giacché era ciò che gli aveva permesso di sopravvivere: quelli che si aiutano l’uno con l’altro...