La guerra la forza dei numeri e il gioco giusto

Storie e Notizie N. 2292

Rieccomi a bordo, più agguerrito che mai. Anzi, no, ma che dico? Tutto il contrario, altrimenti sarei davvero incoerente e questa spero sia una delle novità che mi mancava.
A proposito di coerenza, leggo che Trump cambierà il nome del dipartimento della Difesa in dipartimento della Guerra. Questo dimostra ciò che penso da un bel po’: quelli, gli altri, hanno una strada più semplice davanti. I capitalisti e i guerrafondai hanno concetti facili in testa, tra tutti: occupare, conquistare, massacrare e rubare tutto ciò che possono, oppure non farlo, il che non è previsto. In un’era dove l’informatica ormai condiziona l’evoluzione del mondo con la sua natura binaria, costoro dimezzano le possibilità agevolandosi ulteriormente il compito. La variabile è una sola e se ci pensate è sempre stata la stessa, quella sopra citata.
A parte il nostro governo con tutti gli storici servilismi e giravolte semantiche per restare sempre dalla parte del bullo più bullo nel cortile – il problema è quando ce n'è più di uno, ma nei decenni siamo diventati campioni del mondo nell’arte di barcamenarci tra controverse e antitetiche alleanze in tempo reale -, la guerra, giammai la difesa che era ed è ancora oggi alla base degli accordi delle nascenti Nazioni Unite nel secolo scorso, è al centro dell’orizzonte dei leader del mondo.
Russia e Cina mostrano i muscoli al pianeta con un'inquietante parata militare, mentre i "volenterosi" – non ho ancora capito cosa voglia dire davvero questa parola – si riuniscono puntualmente per pianificare il Risiko che ci aspetta.
Leggi pure come il gioco della guerra, ormai sdoganato a cielo aperto senza più alcuna esitazione o pudore. Questa è un'altra novità, a mio modesto parere, e la suddetta denominazione dipartimentale ne è prova conclamata.
Al contempo, vi è un’altra guerra in corso: quella tra la Terra e coloro che vi abitano. O forse, visto che siamo in tema di onestà semantica, mi riferisco alla reazione di un pianeta da un enorme Stato canaglia multinazionale e si ribella in modo caotico e spietato contro chi gli capiti a tiro nei modi che ha a disposizione. Non che mi auguri che un cataclisma colpisca qualcuno in particolare, ma non posso che restare amareggiato notando che la natura infierisce spesso sugli ultimi del mondo, vedi il terzo terremoto che ha colpito l'Afghanistan, dove il bilancio delle vittime sale a 2.200 – a proposito sembra che questa tragedia non interessi a nessuno – e il mezzo milione di persone che sono in fuga dalle loro case nel Punjab pakistano a causa delle inondazioni. Nel mentre l’iceberg più grande del mondo si è rotto definitivamente e anche questo è un atto di guerra, ovvero difesa, che non abbiamo compreso.
Aggressione, difesa, guerra, pace, e allora come tanti - parola cruciale - finisco puntualmente ad arenarmi sulla solita domanda: ma noi, singoli cittadini, cosa possiamo fare?
È una strada che conosco ormai a menadito e mentre un tempo occorreva uscire di casa, parlare e confrontarsi con anime affini – e dovremmo farlo ancora a prescindere – oggi è sufficiente digitare la fatidica domanda nella casella del motore di ricerca e di risposte autorevoli da persone che da tempo si impegnano quotidianamente ne trovi a iosa. Non so voi, ma a me fa bene al cuore sapere che là fuori c’è tanta gente che non si arrende, che resiste all’apatia o la rassegnazione, oltre che dinanzi all’oppressione, e che si industria per fare qualcosa, qualsiasi cosa che risulti anche minimamente utile.
Nondimeno, credo che l’espressione chiave sia “tanta gente”, adesso ci arrivo.
Prima di ciò, sempre come molti cerco di rinfrescarmi la memoria su cosa possiamo, ovvero dovremmo smettere di fare e pure per questo la rete è stracolma di guide e consigli saggi e comprovati.
Il fatto è che… diciamola tutta, okay? Vado per i sessanta e faccio e non faccio come detto la maggior parte delle azioni quotidiane suggerite. E allora perché ho l’impressione che il mondo stia comunque addirittura accelerando verso il baratro?
Vi capita anche a voi? Chi ho ascoltato in queste settimane mi ha confermato qualcosa di molto simile, ma dal canto mio mi trovo in un punto in cui sono assillato da una frase. Una di quelle che per chi come il sottoscritto lavora da decenni con la salute mentale nei luoghi di cura è una sorta di pietra angolare: follia è fare sempre la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi. Viene attribuita a Einstein, invece è di Rita Mae Brown nel suo libro Sudden Death, 1983. Tipico errore della nostra specie quello di dar merito a un uomo, per quanto illustre, di ciò che invece aveva fatto una donna…
A ogni modo, la domanda che segue è questa: cos’è che ancora non abbiamo fatto? Cos’è che non c’è in alcuna guida saggia o autorevole manuale di vita vissuta che ci sfugge? Voglio impegnarmi in questa ricerca da ora in poi.
Certo, qualcuno potrebbe obiettare affermando che non c’è, punto, abbiamo già provato tutto, ma non sono d’accordo, perché ho premesso che l’espressione chiave è a mio umile avviso “tanta gente”.
Nel mio piccolo, credo che ancora oggi sia questo l’elemento straordinario che non siamo riusciti a sfruttare appieno: la forza dei numeri.
Questi individui che nei fatti stanno stoltamente conducendo il treno dell’umanità verso il precipizio sono una paradossale minoranza. Mentre tra chi si fa condizionare o manipolare, chi resta indifferente, chi subisce senza potersi difendere e chi cerca di opporsi vi è la stragrande maggioranza della popolazione mondiale.
In altre parole, pochissimi da un lato e miliardi dall’altro.
Forse quello che ci manca è un modo per far valere tale eccezionale differenza a vantaggio della collettività. Ci vuole il gioco giusto con cui confrontarsi, pacifico ma decisivo.
Come, il dondolo, l’altalena basculante o a bilico con cui ci si divertiva una volta...

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