La guerra spiegata ai ragazzi

Storie e Notizie N. 1464

"C'è la possibilità che si possa finire per avere un grande conflitto con la Corea del Nord. Assolutamente", ha dichiarato il presidente degli USA alla stampa. "Ci piacerebbe risolvere le cose diplomaticamente, ma è molto difficile", ha aggiunto.

C’era una volta una storia.
Ovvero, quella che conosciamo meglio al mondo, noi cosiddetti grandi.
Perché non è affatto vero che la pace sia la scelta più facile, maggiormente logica e meglio comprensibile.


Soprattutto da chi è tormentato da incubi tutt’altro che semplici, guidato da una mente per nulla razionale e non considera affatto la conoscenza dei fatti come una priorità per decidere la rotta.
E così che la guerra ha avuto inizio la prima volta, all’alba dei tempi.
Comincia sempre in questo modo, sai?
Non con le armi e i colpi mortali, con le ferite aperte e la battaglia.
Si parte con gli sguardi feroci.
E le espressioni torve.
I gesti ostili.
E le mancanze di cortesia.
Tutti gli sgarbi possibili in tutte le occasioni presentabili.
E poi arrivano loro, le spade più affilate e i fendenti più pericolosi.
Le parole, già.
La guerra esordisce ogni volta con una frase.
Spesso niente di originale, talvolta nuova nella forma, ma non nelle intenzioni.
L’ottusa danza prosegue con l’inevitabile risposta dell’interlocutore che non aspettava altro che questo.
La guerra, esatto.
Il momento per essere protagonista, sognato ogni notte da coloro che non hanno altro modo per sentirsi vivi.
In cotal modo si va avanti, tra una replica e l’altra, a riscaldare gli animi e fingere di far lo stesso con i rispettivi cuori.
Che non conoscono altro che gelo, inerte e indifferente gelo.
Il volume della voce si fa pericolosamente alto, le pagine tremano sotto il peso dei deliri dei litiganti e il pubblico diventa sempre di più succube dell’osceno spettacolo.
Finché non arrivano i titoli di testa.
Vuol dire che la sceneggiatura ha finalmente trovato i produttori, il regista ha il suo cast di attori protagonisti e di comparse complici.
Il film può iniziare, che gli eserciti entrino in scena.
L’oscura signora, di nero vestita, è giunta sul set ma non ha una falce in mano, bensì il ciak che da il via alle riprese.
Con una distribuzione fenomenale e l’asservimento dei messaggeri di cattivi notizie il successo è assicurato al botteghino, per la pellicola più vista della storia.
Perché perfino dopo i titoli di coda, la sigla finale che rimbomba dalle casse e gli spettatori sopravvissuti che defluiscono dalla sala con le lacrime agli occhi e lo sdegno, i mai più e la vergogna, il terrore e la rabbia, le buone intenzioni e i pacifici proponimenti, è come se la farsa degli adulti consapevoli sia solo entrata nel vivo.
La contesa non è mai finita, allora.
Ieri e il giorno precedente.
La guerra diviene dopo guerra, il quale vuol dire in pratica che il prima possibile, al meglio dopo, tutto si ripeterà.
Gli sguardi e i gesti.
Le scortesie e le provocazioni.
Seguite di nuovo dalle parole, secondo copione.
Le ingiurie e le intimidazioni, le manifestazioni di arroganza o di paura, difficilmente distinguibili, se ci pensi.
E la luce della ragione se ne va ancora, scacciata da un’abominevole sete di oblio.
Il folle, cieco proiezionista prende dallo scaffale la solita pellicola, consumata allo stremo, e lo schermo riprende a bruciare innanzi alla platea gremita.
Solo posti in piedi, di fronte al racconto scritto nella nostra disabile memoria con inchiostro che potremmo definire ingenuamente simpatico.
Nondimeno, l’orrenda narrazione dell’uomo uccide uomo non si limita a cancellarsi una volta letta.
Si porta via con sé tutto quel che è stato scritto e gridato nei giorni della saggezza, con le più sincere speranze e l’autorevolezza migliore.
C’era una volta una storia, perciò.
Che non ha mai smesso di essere raccontata.
Se non ci piace, non serve a nulla fingere che non esista.
Possiamo solo darci da fare per viverne un’altra.


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