Guerra e terremoto questione di punti di vista
Storie e Notizie N. 2109
Spesso e volentieri, io per primo, ci si azzuffa a causa delle diverse angolazioni da cui osserviamo le più varie questioni, sia quelle che ci toccano da vicino che le altre, che a loro volta riguardano direttamente persone le cui tragedie non riusciamo o addirittura possiamo immaginare.
Per esempio, guerra o pace, unirsi alla pugna o restare a guardare, inviare le armi o solo i medicinali, oppure neanche questi ultimi.
Al contempo, resto convinto che allorché proviamo a far nostri i punti di vista di coloro che pagano il prezzo più alto, ma sul serio, fino in fondo, dividerci o perfino scontrarci può risultare assai più difficile.
A tal proposito, non posso fare a meno di allargare lo sguardo sugli abitanti di una porzione del mappamondo in questo momento particolarmente funestata da eventi differenti ma quasi ugualmente tragici.
Di mezzo, a separare destini di questi tempi passati alla cronaca più che per disgrazie che buona sorte, vi è ancora una volta l’acqua. Niente di nuovo nel secolo che stiamo vivendo, poiché soprattutto a queste latitudini è il viaggio che traccia il sentiero tra le onde a catturare le emozioni più contrastanti dei più, alla stregua delle storie che contano, tra l’affezione mossa dalla più pura umana solidarietà sino all’odio meno tollerabile, quello generato da follia e solitudine.
In questo caso trattasi di corso d’acqua di dimensioni ambigue. È un mare ma non è vasto come molti dei suoi fratelli e neppure altrettanto spietato e brutale. Eppure, lo chiamano Nero, aggettivo che spesso, ancora oggi, evoca qualcosa di torvo e maligno.
Nondimeno, è ai poli di quest’ultimo che due diverse vicende hanno in questo momento in pugno le prime pagine dei quotidiani di mezzo mondo. O, forse, è il contrario, ma fa lo stesso, mentre le terribili immagini e le parole strazianti si sovrappongono e si confondo le une con le altre.
Le differenze esistono, vivaddio, sono lì, evidenti, potrebbe giustamente obiettare un astante minimamente pragmatico.
A nord si muore per fuoco umano, più che amico. Anzi, per niente tale, come da retorica del genere bellico, peraltro confermata nella sua versione più elementare: c’è un invasore e c’è un invaso. E ci sono gli altri, tutt’attorno, a decidere come fare e, se fare, cosa fare – oltre che a domandarsi cosa avrebbero dovuto fare prima - mentre le bombe azzanno, i proiettili dilaniano e i missili cancellano letteralmente interi brani di una storia scritta da un popolo sulle pagine che in molti considerano la propria terra.
Al contempo, da poche ore si muore per mano di quest’ultima a sud dello stesso mare dal nome insolito. La vita trema da un istante all’altro e ti crolla addosso cambiando faccia e trasformandosi nell’esatto opposto di chi ti dovrebbe sorreggere e proteggere. Su questo versante del racconto non v’è un nemico su cui puntare il dito che non sia il destino. Al massimo su coloro i quali avrebbero dovuto essere più accorti nel prevedere i crudeli capricci del fato, rinforzando meglio gli argini che sulla carta geografica dovrebbero tenerci al sicuro dal nostro stesso pianeta. Anche se spesso sono più giustificate le rimostranze di quest’ultimo, a dire il vero.
Tuttavia, provate per un attimo a mettere in sordina ogni scontato distinguo tra i due tristi scenari e concentriamoci sull’essenziale.
Nel mio piccolo al riparo di questa paginetta su entrambi i fronti osservo le medesime città distrutte, dalle abitazioni alle scuole, dagli ospedali alle strade, dalle auto a ogni edificio colpito senza un motivo sensato, ragionevole, accettabile.
Vedo in ogni caso l'esistenza di migliaia di nostri simili tranciata senza pietà e il dolore di chi resta, costretto a rimettere insieme i pezzi di una famiglia, di un sentimento, di un amore o anche solo un'amicizia che non torneranno mai come prima.
A nord, come a sud del Mar Nero, che sia l’Ucraina o la Turchia e la Siria guardo e rabbrividisco al pensiero dell’angoscia di coloro i quali son sopravvissuti per essere condannati in questi istanti a convivere con il terrore che l’inferno possa precipitare di nuovo sulle loro teste da un secondo all'altro.
D’altra parte, come ho avuto modo di scrivere in precedenza, per quanto riguarda la guerra, non è la prima e tanto meno la sola a mietere vittime in questo momento. E lo stesso può dirsi di un terremoto.
Tuttavia, figurandomi le quanto mai simili conseguenze di entrambi accostate idealmente nel medesimo quadro, non posso fare a meno di provare rabbia e disgusto di fronte all'unica differenza che dovrebbe interessarci: il pensiero che uno dei due è opera nostra e altrettanto nostra è la possibilità di fermarla…
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