Prima e dopo che il coltello ferisca

Storie e Notizie N. 2154

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Lunedì 29 maggio, 2023.
Siamo in una scuola in provincia di Milano. Per la precisione presso l’istituto di istruzione superiore Alessandrini di Abbiategrasso.
Sono appena passate le 8 del mattino, quando uno degli studenti entra in classe come tutti gli altri, ma con un fardello diverso, sbagliato o potremmo dire anche malato, nella borsa a tracolla, sulle spalle, nel cervello o in ogni parte di sé che quest’ultimo non riesce più a raggiungere.
Per facilità o mere esigenze di stampa si potrebbe ridurre il refuso nell’abituale bagaglio a una pistola, per fortuna finta, e un coltello, disgraziatamente più che vero.
Stringendo in una mano quest’ultimo, l’alunno di soli sedici anni – anche se a molti sembrano tanti – si avvicina alla professoressa senza che quest’ultima si accorga di ciò che sta per succedere e la colpisce all’avambraccio.
Da quel momento nessuno dei protagonisti in scena potrà tornare indietro come si fa con i computer tramite il simbolo della freccia che curva verso sinistra. Perché puoi annullare un errore di battitura, ma non un gesto, soprattutto quando si dimostra del tutto insano e in grado di lacerare il corpo e non solo.
Poche ore più tardi, una successione di altre azioni, ma limitate alle parole scritte o pronunciate a voce alta, riempie occhi e orecchie dei lettori e degli spettatori accorsi al capezzale di almeno due feriti, dal mio personale punto di vista: prima di tutto la donna che stava per iniziare la consueta giornata di lavoro con la sua classe, ma anche un ragazzino di soli sedici anni, ripeto, che si è reso vittima di se stesso. Oltre, ovviamente, ai suoi compagni, i quali sono stati costretti ad assistere alla violenza in diretta.
Pure il sottoscritto, come molti, ha trovato il tempo di soffermarsi sull’accaduto per capire cosa sia successo.
Tuttavia, a esortarmi a farlo non è stata soltanto una mera curiosità di fronte all’ennesimo cruento fatto di cronaca, bensì il fatto di lavorare da circa trent’anni con il disagio mentale, soprattutto degli adolescenti. Sto parlando di ragazzi della stessa età di quello studente, la maggior parte dei quali quando a scuola non riescono più a starci o non sono ancora riusciti a trovare il coraggio, la forza o anche solo la serenità per oltrepassare quella soglia.
Per tale motivo, dopo aver in tutto questo tempo incontrato centinaia di giovani con altrettanti vissuti traumatici, disagi psicologici, problemi di relazione e quant’altro, non posso fare a meno di reagire con perplessità di fronte a chi si dimostra pronto a fornire immediate spiegazioni e risposte a chi si pone le più comprensibili delle domande, cosa che accade ormai puntualmente quando tali tragici fatti raggiungono le prime pagine dei giornali: perché un ragazzo compie un gesto del genere? E cosa fare per prevenirlo?
C’è chi sostiene che sia colpa di un brutto voto.
E chi condanna l’intera istituzione scolastica, dichiarandone il fallimento.
C’è chi punta il dito sulla famiglia, affermando che ha rinunciato al suo ruolo educativo, chi denuncia un vero Far West e che si tratta della punta di un iceberg, e chi lancia un allarme sulla salute mentale degli adolescenti.
C’è chi accusa un drammatico scollamento tra insegnanti e studenti, o addirittura un cortocircuito.
E chi identifica lo psicologo quale soluzione a ogni problema. C’è chi ovviamente sbatte in prima pagina il disturbo mentale, in questo caso la paranoia.
E chi propone la classica caricatura dell’alunno all’ultimo banco.
C’è chi fa l’elenco delle malefatte del ragazzo, chi lamenta l’assenza di rispetto per i professori e chi utilizza perfino un fatto del genere per farne gazzarra di natura politica.
Dal canto mio, ripeto, di ragazzi con storie difficili ne ho incontrati davvero tanti, alcuni anche questa mattina, e una delle cose che ho imparato nel lavoro con la sofferenza altrui è che non esistono ricette, soluzioni o risposte che vadano bene per tutti.
Ogni vicenda personale, soprattutto quelle più fragili, sensibili e vulnerabili, è storia a sé. Trattandosi di adolescenti, poi, l’esperienza mi ha insegnato che tale assunto vale cento volte tanto.
Per tali ragioni, dinanzi alla vicenda che si è guadagnata l’attenzione della cronaca e soprattutto al dolore dei suoi protagonisti, tra cui l’insegnante e – ripeto – il giovane studente, a cui aggiungo le rispettive famiglie, per la prima delle domande di cui sopra credo non esista una sola risposta per tutte le stagioni, o differenti vissuti personali.
A mio modesto parere, non dovresti chiederti perché “un” ragazzo qualsiasi compia un gesto del genere, bensì “quel” ragazzo, e allora è lì che comincia un lavoro lungo che richiede competenza, dedizione, passione e tanta pazienza. Con lui, assieme a lui, accanto a lui, più o meno quotidianamente, giammai leggendo quattro righe su internet.
Per quanto concerne il secondo quesito, ovvero su cosa fare per prevenire tali drammatici accadimenti, altrettanto non mi sento di dare risposte, ma solo un suggerimento: fare assoluto silenzio e mettersi in attento ascolto dei ragazzi che la vita, o il lavoro, ti hanno portato a incontrare.
Prima e dopo che il coltello ferisca...

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