Noi e i social

Storie e Notizie N. 2262

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A metà degli anni Novanta, in tempi non sospetti, alla domanda su cosa fosse Internet ricordo sempre la risposta che ci diede un professore all’università alla facoltà di Informatica alla Sapienza: siamo noi.
Siamo noi connessi l’uno con l’altro dal momento che accendiamo il dispositivo di turno, lo schermo, il modem e tutto il resto. Click e siamo tutti insieme, tra coloro che hanno ripetuto la medesima sequenza.
Nondimeno, rammento altrettanto la conclusione alla quale potrebbe arrivare chiunque seppur privo di particolari competenze in materia: eravamo noi, connessi l’uno con l’altro, anche prima. Possiamo dire senza paura, fin dall’inizio. E lo saremo sino alla fine, volenti o nolenti, e senza il bisogno di alcuna procedura tranne quella di venire al mondo, di cui dovremo sempre esser grati alle nostre mamme prima di tutto.
Per chi non lo sapesse, sono uscito da tutti i social network più di cinque anni fa per vari motivi, tra cui la mia serenità, e ancora oggi confermo con tutto me stesso la mia scelta.
Al contempo, resto quanto mai felicemente sorpreso quando una notizia – a mio modesto parere – non fa che confermare quanto quel “noi” sia infinitamente più importante delle digitali ramificazioni che sostengono di renderci più vicini e addirittura amici. Al punto dal sembrare agli occhi di molti più rilevanti di noi stessi, invertendo l’assunto di cui sopra.
Vecchia storia quella della macchina - o qualsivoglia strumento che sia - che alla prova dei fatti risulti prioritaria rispetto a coloro che ne fanno uso, ribaltando il rapporto originale. Eppure è attuale ancora oggi.
Ma veniamo alla vicenda: Tamuna Museridze  è una giornalista georgiana impegnata a far ricongiungere i bambini sottratti alle rispettive madri nel suo Paese. In passato era lei stessa alla ricerca dei suoi veri genitori.



Tutto iniziò nel 2016, quando stava esaminando gli effetti personali di colei che un tempo credeva fosse sua madre. Tra questi, trovò un certificato di nascita con il suo nome, ma con la data sbagliata.
Dopo aver fatto qualche domanda in giro, qualcuno dalla Georgia rurale le mandò un messaggio dicendole che conosceva una donna che aveva nascosto una gravidanza e che si era recata nella capitale Tbilisi nel settembre 1984, il mese della sua nascita.
Tamuna continuò a cercare e in seguito un’altra donna si fece avanti, affermando che avrebbe fatto un test del DNA con lei.
Ebbene, venne fuori che le due erano cugine e ciò permise a Tamuna di scoprire chi fosse suo padre biologico.
Tuttavia, la vera sorpresa fu che l’uomo di nome Gurgen Khorava, il quale all’epoca non sapeva che la madre di Tamuna fosse rimasta incinta, era tra gli amici su Facebook della giornalista…
I due si sono incontrati e quell’attimo è stato speciale e commovente per entrambi.
Con la madre biologica non è andata altrettanto bene, ma non si può ottenere tutto quel che si vuole quando si ricerca la verità sul proprio passato.
Ciò che mi fa riflettere, sempre a mio umile avviso, è che se Tamuna non si fosse impegnata in prima persona con fiducia e speranza, e se altre persone a loro volta non avessero dato il proprio contributo aiutandola e consigliandola, suo padre sarebbe rimasto lì, celato sotto un avatar e il relativo nickname, in mezzo a tutti gli altri amici virtuali.
Perché quando la rete era solo un miraggio eravamo tutti già legati da un filo invisibile e indistruttibile, nel bene o nel male, ed è questa la nostra forza e la nostra debolezza. Dipende solo da noi.
Per favore, ricordiamocelo ogni qual volta verranno immesse nel mercato nuove, apparentemente indispensabili, meraviglie...

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