Storia per quando ti senti giù
Storie e Notizie N. 1599
C’era una volta la classica giornata storta.
Magari è oggi.
Facciamo che sia esattamente adesso, il caso.
Il tuo e il mio.
Anzi, peggio, mettici pure un periodo intero, mesi, anche anni.
Ovvero, prendi quei momenti.
Già, apri il palmo della mano e sistemali nel mezzo.
Osserva quel mucchio di minuti in cui il mondo rotola come una palla da bowling puntando dritto su di te, unico birillo in campo, inerme innanzi a un destino gramo e insensibile.
Capita a tutti, a te, a me.
Non per una questione di cronica depressione, sia ben chiaro.
Non tiriamo in ballo medici e medicinali.
Non mettiamo altresì in gioco alcun pretesto per chiudere occhi e cervello innanzi alle possibilità, parola quanto mai santa.
Dici, ma io sono ancora un adolescente, ti rendi conto?
Ti rendi conto in che razza di società mi hai accolto?
È forse colpa mia di quel che ho trovato all’inizio dei miei giorni?
Capisci, adesso, perché mi rode? Già, capisco.
Anzi, no, capiamo insieme.
E diamo per scontato che potresti pure obiettare: scusa, mi hai visto? E al contempo, hai osservato come son fatti i veri vincenti, là fuori, o meglio, lassù? La natura è stata impietosa con me quanto generosa con loro, questa è la realtà.
Ma proprio così, rimaniamo nella realtà.
Dalla quale potresti giustamente saltar fuori e tentare di chiudere ogni discorso con il capitolo carnagione: quando il colore di quest’ultima è quello sfavorito per definizione è come se l’anima che contiene fosse condannata a un ergastolo di letterale oscurità.
Può essere, di sicuro accade.
Tanto quanto è normale che tu possa saltar su con comprensibile suscettibilità, offrendo quale argomentazione non trascurabile un’identità di genere non prevista dalla sceneggiatura morale vigente.
E, se tutto ciò non bastasse, in qualsiasi momento potrebbe presentarsi il puntuale venditore di tempi migliori, il quale, dopo un prevedibilmente ottimista giro di parole, ti indicherebbe la solita via.
Leggi pure come la lunga e faticosa strada della coraggiosa pazienza.
No, rifiuteresti tu, io esisto ora.
Ed è ora che vorrei sorridere.
Di secondi sopravvissuti in tasca non ne ho più, penseresti con ragionevole rassegnazione.
Ebbene, con altrettanta lucidità sappi che quella di Eddie Ndopu non è una favola inventata a tavolino per conciliare mesti sonni.
Al contrario, è un'esperienza scritta, raccontata e di sicuro vissuta con una conoscenza assoluta delle crudità viventi.
A due anni gli stata diagnosticata un'atrofia muscolare spinale.
“Non sopravvivrà ai cinque”, disse il medico alla madre.
Eddie ha vinto.
Ma non l’ha fatto perché oggi è ancora qui con noi e di anni ne ha ventisette.
Non perché è stato il primo africano diversamente abile a laurearsi all'Università di Oxford.
Neanche perché è diventato ambasciatore globale per l'umanità e l'inclusione.
E neppure perché, oltre a essere giovane e diversamente abile, è anche nero e omosessuale.
Eddie ha trionfato perché ha per sua fortuna compreso di essere - sue esatte parole - “una manifestazione vivente di possibilità.”
Così come lo è ciascuno di noi, in ogni giorno che ci resta.
“Il 90% dei bambini con disabilità nei paesi in via di sviluppo non ha accesso all'istruzione. Ebbene, io non voglio avere solo la rampa, desidero l'intero edificio per noi”.
Eddie Ndopu
Compra il mio ultimo libro, Carla senza di Noi
Leggi anche il racconto: Nuvola bianca e nuvola nera
Compra il primo Ebook della trilogia urban fantasy Il medico dei mostri: Il viaggio di Mercurio
Leggi altre storie sulla diversità
Ascoltami cantare con la band
C’era una volta la classica giornata storta.
Magari è oggi.
Facciamo che sia esattamente adesso, il caso.
Il tuo e il mio.
Anzi, peggio, mettici pure un periodo intero, mesi, anche anni.
Ovvero, prendi quei momenti.
Già, apri il palmo della mano e sistemali nel mezzo.
Osserva quel mucchio di minuti in cui il mondo rotola come una palla da bowling puntando dritto su di te, unico birillo in campo, inerme innanzi a un destino gramo e insensibile.
Capita a tutti, a te, a me.
Non per una questione di cronica depressione, sia ben chiaro.
Non tiriamo in ballo medici e medicinali.
Non mettiamo altresì in gioco alcun pretesto per chiudere occhi e cervello innanzi alle possibilità, parola quanto mai santa.
Dici, ma io sono ancora un adolescente, ti rendi conto?
Ti rendi conto in che razza di società mi hai accolto?
È forse colpa mia di quel che ho trovato all’inizio dei miei giorni?
Capisci, adesso, perché mi rode? Già, capisco.
Anzi, no, capiamo insieme.
E diamo per scontato che potresti pure obiettare: scusa, mi hai visto? E al contempo, hai osservato come son fatti i veri vincenti, là fuori, o meglio, lassù? La natura è stata impietosa con me quanto generosa con loro, questa è la realtà.
Ma proprio così, rimaniamo nella realtà.
Dalla quale potresti giustamente saltar fuori e tentare di chiudere ogni discorso con il capitolo carnagione: quando il colore di quest’ultima è quello sfavorito per definizione è come se l’anima che contiene fosse condannata a un ergastolo di letterale oscurità.
Può essere, di sicuro accade.
Tanto quanto è normale che tu possa saltar su con comprensibile suscettibilità, offrendo quale argomentazione non trascurabile un’identità di genere non prevista dalla sceneggiatura morale vigente.
E, se tutto ciò non bastasse, in qualsiasi momento potrebbe presentarsi il puntuale venditore di tempi migliori, il quale, dopo un prevedibilmente ottimista giro di parole, ti indicherebbe la solita via.
Leggi pure come la lunga e faticosa strada della coraggiosa pazienza.
No, rifiuteresti tu, io esisto ora.
Ed è ora che vorrei sorridere.
Di secondi sopravvissuti in tasca non ne ho più, penseresti con ragionevole rassegnazione.
Ebbene, con altrettanta lucidità sappi che quella di Eddie Ndopu non è una favola inventata a tavolino per conciliare mesti sonni.
Al contrario, è un'esperienza scritta, raccontata e di sicuro vissuta con una conoscenza assoluta delle crudità viventi.
A due anni gli stata diagnosticata un'atrofia muscolare spinale.
“Non sopravvivrà ai cinque”, disse il medico alla madre.
Eddie ha vinto.
Ma non l’ha fatto perché oggi è ancora qui con noi e di anni ne ha ventisette.
Non perché è stato il primo africano diversamente abile a laurearsi all'Università di Oxford.
Neanche perché è diventato ambasciatore globale per l'umanità e l'inclusione.
E neppure perché, oltre a essere giovane e diversamente abile, è anche nero e omosessuale.
Eddie ha trionfato perché ha per sua fortuna compreso di essere - sue esatte parole - “una manifestazione vivente di possibilità.”
Così come lo è ciascuno di noi, in ogni giorno che ci resta.
“Il 90% dei bambini con disabilità nei paesi in via di sviluppo non ha accesso all'istruzione. Ebbene, io non voglio avere solo la rampa, desidero l'intero edificio per noi”.
Eddie Ndopu
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