Di mattoni e guerre

Storie e Notizie N. 1664

È guerra. E guerra sia. Ovvero, c’è guerra, ancora. Perché se ne parla di nuovo.
Ma questo non vuol dire che non ci fosse anche prima.
Perché la pace ha un prezzo.
Così il silenzio dei giornali e dei parlamenti di questo mondo.
E, mi dispiace, si chiama ancora guerra.
Allora, andiamo via, ma solo per tornare, lo prometto.
Magari con il cuore più leggero, sebbene colmato sino all’orlo, e gli occhi meno chiusi.
C’era una volta, perciò, due bambini. Perché di questo si


tratta. Di un eterno e instancabile gioco da ragazzi, ma con regole serissime e conseguenze spesso tragiche.
È un passatempo particolare, però, giacché il tempo lo ferma, invece che agevolarne il corso, finendo per intrappolare le lancette dell’umano orologio facendo lo stesso con le ali che avremmo potuto spiegare, se solo avessimo creduto al sogno di Icaro.
È un gioco di mattoni. O mattoncini, se preferite. Cemento, argilla o plastica non fa differenza, malgrado quest’ultima possieda l’ulteriore controindicazione dell’inquinamento.
I giovanissimi sfidanti, parimenti tali per ambizione e ingenuità, hanno due ruoli perfettamente contrapposti.
Potremmo chiamarli in una miriade di modi, ma spero che tu e io renderà le cose più semplici e comprensibili ai più. D'altra parte, dovrebbe essere la prima regola di chi racconta storie.
A ogni modo, l’antico svago ha inizio secondo copione.
Tu metti due mattoni tra noi, io ti distraggo con una simpatica smorfia e ne tolgo uno.
Ti accorgi dell’ammanco e ne aggiungi altri tre con gesto aggressivo e perentorio.
Mi stiracchio e poi mi impegno con tutto me stesso nel caratteristico ballo della fronte convulsa, danza ideata dalla semi sconosciuta tribù dei pensatori scacciapensieri.
Tu sollevi il capo per un secondo e io ne approfitto per togliere almeno un paio di mattoni.
Poi mi viene un crampo alla fantasia e crollo in terra, il tuo sghignazzo infierisce sul sottoscritto e, al contempo, guida il tuo sguardo sul campo di gioco.
Conti i mattoni assenti, ti inalberi e porti minacciosamente la mano alle tue scorte, per poi sistemare sulla linea che ci separa ben sei mattoni.
“Muro!” esclami, c’è un muro tra noi.”
“Lo vedo”, constato. “C’è un muro ed era lì anche prima.”
Esattamente come la guerra dell’incipit di questa breve storiella.
Tuttavia, non desisto. Non posso, non devo.
Non possiamo e non dobbiamo.
Perché ci siamo solo noi altri, rimasti lì, sul lato più vulnerabile del confine.
Allora, prendo fiato, raccolgo le forze e, soprattutto, cerco il coraggio dentro di me.
Ma dove l’avevo messo? Ah, eccolo, lo scorgo lì, celato sotto il rumore e la solitudine.
Altri due mattoni, per certi versi, pesanti assai, sebbene inafferrabili.
Il coraggio, invece, al contrario di ciò che si narri, è sottile e delicato.
Quello vero, intendo, è una pagina, un banale foglio di carta con alcune parole impresse di estremo valore.
Descrivono un ricordo tra i più semplici e meno rispettati. Quello delle cose per le quali vale la pena lottare nella vita. Sono poche ed entrano al massimo in un palmo di mano. O una pagina, esattamente come questa.
Perciò, una volta recuperato il prezioso ingrediente, mi schiarisco la voce e canto. Sì, canto a squarciagola finché le code vocali reggeranno. E tu, amico mio, non potrai fare a meno di ascoltare i miei sbrindellati ma appassionati gorgheggi.
Perché quella che sto cercando di intonare non è solo la mia canzone, bensì la nostra. È la colonna sonora dell’incontro che ci porta uno di fronte all’altro, ogni giorno, sin dal primo, fino a oggi.
È l’inno di una vittoria e di una sconfitta, dell’uno o dell’altro, al peggio.
Al meglio, è quando ti decidi a unire la tua voce alla mia, anche solo per dimostrare di esser più bravo di me. E io sono disposto anche a concederti l’onore delle armi, se questo vuol dir pace.
Tutto potremmo essere, tutto potremmo scoprire.
Potremmo perfino crescere e diventare finalmente adulti.
Se solo la smettessimo di perdere il nostro tempo con questo ottuso gioco.
Di mattoni e guerre...


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