Proiettili e giornali che fanno male
Storie e Notizie N. 2039
Un mese e dieci giorni dopo l’ennesimo, ancora impunito, omicidio di una giornalista, vorrei parlare di giornali e più che mai di proiettili.
Di proiettili che uccidono, ma quando è il dolore di chi resta a essere ancora caldo, più che il corpo di chi scompare, risulta quasi inutile puntare il dito sul più probabile degli assassini.
Malgrado sia lì a un passo, unico ad aver potuto colpire a morte l’innocente con tale precisione e altrettanta paura. Perché per molti a questo mondo non c’è nulla di più temuto di un’anima onesta dotata di particolare coraggio.
Nondimeno, a distanza di quasi quaranta giorni e altrettante notti di tale torrida anticamera di un’imminente estate, vorrei parlarvi soprattutto di altri, apparentemente invisibili proiettili.
I proiettili dei colpevoli, che continuano a sparare imperterriti e a far male, lì dove ancora duole e così sarà per sempre, nel negare l’evidenza di un crimine che va ben oltre il singolo colpo di fucile.
I proiettili di coloro che sono testimoni oculari, che sia l’occhio o la stessa coscienza a ritrovarsi nudo di fronte al ripetuto delitto, ma sebbene abbiano il dovere di raccontarlo al mondo senza addolcir parole o attenuar colori, si permettono addirittura di farsi megafono della menzogna, del travisamento, o perfino della perversione di un cerchiobottismo da cui non smetto mai di restare inorridito. Al punto da riuscire a mettere sullo stesso piano il vivo con la pistola fumante in mano e il cadavere dell’ucciso.
Eppure alcuni si chiamano giornali, notiziari, settimanali o quotidiani, in breve stampa, altrettanto in sintesi, il nulla.
Perché a forza di silenziare la verità che infastidisce il finanziatore di turno, se oramai sei finito per prender soldi da chiunque te ne offra, cosa ti resta da pubblicare se non un grosso zero ripieno di banalità e luoghi comuni?
Ma poi devi stare attento ai proiettili di governanti e politicanti amici, di quelli complici alla luce del sole o tali a busta chiusa, di simpatizzanti con interessi strategici o i sempre comuni alleati non richiesti. Perché non sai mai cosa ti riservi il futuro o anche solo la prossima guerra, ecco.
E come non parlare di tutti gli altri proiettili, che uccidono o altrettanto dilaniano il corpo e tutto il resto, che sia tangibile o meno, e che occupano incessantemente l’intero palco. Allora per settimane intere di quel mese e dieci giorni, innanzi allo spettacolo dell’omicidio in prima pagina, non puoi fare a meno di dispiacerti per mogli e figli trucidati in modo folle e insensato, come di intere popolazioni decimate in modo lucido e ragionato.
Nondimeno, se è davvero il crudele sacrificio di vite senza colpa a essere in cima ai vostri pensieri, perché operate una scelta tra un martirio e l’altro?
Come ci riuscite?
E quando avete terminato tale iniquamente parziale compito, come fate a tornare a casa e dormire sereni?
Sono forse io a non aver ancora compreso appieno, nonostante l’età, il senso del mestiere di cronista di fatti e attualità?
In altre parole, le meno equivocabili, perché dall’undici maggio a oggi c’è bisogno che lo dica anche il New York Times per ammettere che i soldati israeliani hanno ucciso una giornalista palestinese mentre cercava di fare il suo dovere in Cisgiordania?
Non fate lo stesso lavoro?
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